Stavo leggendo l’osservazione di Akille.
E la intrecciavo mentalmente con una pubblicità che ho letto stamattina su un giornale cartaceo, in ufficio.
Era lo spot per un nuovo complesso residenziale che nasce non so dove nella periferia romana, enormi agglomerati suburbani (nel senso geografico del termine) che crescono come funghi, cementificando ogni spazio disponibile. Ogni giorno, nuovi annunci. Da anni.
Questo complesso però veniva presentato come se avesse tutto il necessario per vivere: prima di tutto i vari tagli di casa disponibili – da monolocale a bilocale, e per esagerare perfino trilocale – poi la presenza di un centro commerciale, importantissima la zona uffici, infine un mezzo pubblico ed altri “servizi”.
Insomma, a me sembrava un incubo: vivere in un buco pagato a peso d’oro in una zona periferica che non è Roma, anche se poi viene spacciata per tale, e lavorare per consumare, consumare crescendo figli, crescere figli che consumeranno, consumare, consumare, consumare: tutto nello stesso posto.
Ma la foto che ha segnalato Akille dimostra che non è un incubo: la gente lo fa veramente. Ma non si sentono male? Sono così diverso? Può darsi.
Per carità, lo so: il consumismo non è nato ieri. Ma queste “zone di vita-per-il-consumo” mi sembra siano una novità.
Ma una chiesa, dove stare un po’ in pace a pensare a qualcosa di diverso da Trony, così, almeno per provare, l’avranno prevista?