Luciano Giustini ragionamenti a lettere..

Finché morte

C’è stata una certa alzata di scudi, riguardo alla questione del matrimonio in articulo mortis dell’agente del Sismi Lorenzo D’Auria, rimasto ferito in Afghanistan. Come spesso avviene tra i blogger quando si parla di Chiesa e dei suoi principi, la tendenza è ad una certa confusione, col pretesto di contestare cose religiose, improntate invece ad una sana logica.
Tra i blog che leggo, Carlo ne ha parlato in modo veementemente polemico (“ridicola e umiliante farsa pretesca”), termine che è stato poi ripreso, mi dispiace moltissimo, dall’intelligente Giorgio nel suo blog.
L’agente e la sua compagna erano, infatti, conviventi, e con tre figli. Lo Stato italiano, un’entità comunque male organizzata, non prevede che ci siano grandi cose per le coppie in questa condizione (ne avevo già parlato qui), così si fa ricadere sotto un atto religioso un evento amministrativo la mancanza del quale avrebbe creato condizioni sfavorevoli alla moglie. Ora, il problema dov’é? Nell’ente che ha deliberato questa soluzione, o nella soluzione stessa? A seconda di quale “parrocchia” è il caso di dire, l’oratore segua, si susseguono polemiche opinioni. Ma, a differenza dello Stato, la Chiesa ha principi sostanzialmente immutabili, che ruotano intorno a due elementi da difendere: famiglia e vita. Dunque se questa coppia ha dei figli e voleva sposarsi (e il padre è un ottimo testimone) non c’è nessun impedimento a che ciò avvenga, anzi. Perché ciò è conforme ai principi cattolici. Diversamente, se la coppia avesse lasciato un testamento biologico di morte (e il padre sarebbe stato un ottimo testimone) la Chiesa avrebbe semplicemente detto “no” perché contrario ai principi cattolici.
In altre parole, il concetto di base è molto semplice: che la Chiesa sopperisca ad una mancanza del diritto famigliare di Stato, e che lo faccia oltretutto benissimo e storicamente e segnatamente nei confronti delle coppie cattoliche, dovrebbe essere solo fonte di ringraziamento e di interesse. Invece c’è la tendenza a separare la fede dalla società e dalle scelte pubbliche ed a relegarla al privato, come se il fare dal pensare fossero cose scindibili. Che ovviamente è erroneo.
Paradossalmente, se un ateo passasse di qua e leggesse queste storie, avrebbe da ridere: ché trarrebbe maggiore giovamento dal caso in cui la Chiesa si occupi di lui nella difficoltà, che lui della Chiesa. Ma non siamo in tempi di ateismo (pensiero forte), bensì di agnosticismo, una forma di abdicazione dal pensiero libero.