L’illusione del “partner migliore”
Nelle grandi città si vive immersi in un turbinio di attraenti persone dell’altro sesso che graziosamente parlano e sorridono, esibiscono i loro aspetti migliori, la loro voglia di amare ed essere amati e ammirati, e con ciò mettono in pericolo l’esistenza della coppia che con tanto amore e fiducia aveva iniziato la vita insieme. In tali concentramenti di popolazione, dove ognuno è estraneo all’altro, i rapporti interpersonali tra concittadini e colleghi sono quasi inesistenti e manca l’inibitorio controllo reciproco dei piccoli villaggi, dove i cedimenti morali sono più rari per l’esistenza di una sorta di autoregolazione automatica dei costumi.
Purtroppo, quando il legame d’una coppia comincia ad incrinarsi per l’intrusione di una di quelle persone il cui fascino misterioso la fa apparire più attraente del proprio partner, il partner colpevole comincia a fornire alla propria coscienza ogni alibi possibile per lapidare colei o colui che pur conduceva al suo fianco una vita irreprensibile con l’amore e l’abnegazione di cui era capace. E’ difficile capire la natura della forza distruttiva che spinge una persona a disamorarsi di un partner che finora rappresentava per lui una casa-culla serena e ordinata e quindi generatrice di felicità, per saltare nel buio di evasioni generatrici di disordine e quindi, presto o tardi, di sofferenza. Voce di popolo, sostenuta anche dalla Sociobiologia, sostiene che fin dagli albori della specie umana sarebbe una caratteristica naturale e incoercibile del maschio andare a caccia di femmine e di proteine animali distribuendo il proprio seme a destra e a manca ad ogni buona occasione. Questa teoria però, che poteva valere per i tumultuosi e promiscui primordi in cui gli ominidi facevano parte di branchi non ancora organizzati, oggi sembra poco attendibile; da quando infatti l’Homo Sapiens si è costituito in ordinate strutture sociali gerarchiche sottoposte a regole e consuetudini col valore di leggi, si è modificato geneticamente anche il suo ruolo istituzionale nel clan e la sua responsabilità nei riguardi dei componenti; l’immagine quindi di un maschio ancestralmente cacciatore di proteine e di femmine si è molto ridimensionata e oggi sembra solo un alibi inventato dalla mascolinità per giustificare le sue fantasie erotiche e le sue scappatelle.
Quanto alla femmina, tutti gli antropologi concordano che sia meno portata al tradimento a causa del suo primario interesse alla conservazione del nucleo familiare; è la donna infatti che investe tutte le sue energie per ogni singolo figlio e per la durata di quattro o cinque anni, ed è naturale che difenda con le unghie e con i denti il suo investimento genetico facendo in modo che vada a buon fine e sia conservata l’unità della famiglia. Tale predisposizione è innata e si è mantenuta certamente anche nelle donne di oggi, nonostante la liberazione sessuale, l’interruzione di gravidanza e il controllo delle nascite, anche se la maggior parte di esse finge di non saperlo; è un dato di fatto che, salvo eccezioni perverse, la maggior parte dei tradimenti femminili è provocata dall’incuria dei maschi nei riguardi delle loro compagne o da maltrattamenti, tradimenti, e comportamenti offensivi.
Resta comunque la triste realtà che quando si insinua nell’animo o nella fantasia il desiderio di liberarsi del partner, maschio o femmina che sia, non è facile per il traditore razionalizzare gli inconsci motivi abbietti del suo comportamento; è difficile giudicare con chiarezza se colei o colui di cui si era innamorati, e che ora più non si sopporta, abbia perso le sue iniziali attrattive a causa d’un oggettivo deterioramento del suo aspetto o a causa di un divergente processo evolutivo morale, oppure se a forza di guardare nei giardini degli altri reputiamo di poter aspirare ad un partner migliore di quello attuale: qualsiasi motivo si adduca, è solo un pretesto per liberarsi da ciò che si ritiene una prigione. Cercare pretesti infatti è il più comune falso salvagente cui gli esseri umani si sono da sempre aggrappati per non dover scoprire in se stessi il vero abbietto motivo del loro disamore. Guardiamola in faccia noi, allora, l’abbietta Fata Morgana: l’illusoria e consumistica convinzione che il nostro ego meriti qualcosa di meglio, un partner migliore, mentre il vero abbietto motivo è la nostra incapacità creativa di rendere interessante la nostra vita, e allora ci illudiamo che lo possa fare un “partner migliore”. Mettiamoci una mano sul petto e chiediamoci se almeno una volta non abbiamo accarezzato il pensiero che il nostro partner, per un motivo più o meno giusto, “non ci meritasse”.
Questa Fata Morgana del partner migliore che ci spetta di diritto è il pensiero più deleterio che ci possa infettare, dato che offusca la capacità di vedere gli aspetti positivi che la nostra compagna o il nostro compagno sicuramente possiede, se una volta ci è piaciuto e se nel frattempo non è diventato un mostro; ci inibisce la capacità di gioire per come egli ci ha reso finora bella e attraente la vita e di vedere chiaramente la nostra colpevole ignavia creativa. Il segreto della felicità è infatti gioire per le qualità del partner, piuttosto che stare a roderci e a soffrire per i suoi difetti; in lui ci sono certamente “in nuce” anche altri aspetti positivi meno evidenti ma che potrebbero essere scoperti e sviluppati, se si prendesse l’iniziativa di coltivarli con pazienza ed amore introducendo nuovi motivi di interesse comune; se è vero che l’essere umano oscilla continuamente fra il bisogno d’una casa sicura e il fascino di nuovi orizzonti e nuove esperienze, perché cercare queste altrove, invece di crearle nel proprio partner e nell’ambito della propria famiglia? Non si immagina, o piuttosto non si vuole immaginare, quanto la nostra innocente compagna o compagno possa essere felice di seguire il nostro entusiasmo di fare o imparare cose nuove, e allo stesso modo quanto possa anche lei trascinarci col suo entusiasmo verso nuovi interessi e nuove esperienze; ed è straordinario constatare quanto queste esperienze possano tenere felicemente unita la coppia, se il partner scontento non si chiudesse nell’alibi nichilistico del “tanto è tutto inutile”.
La Fata Morgana del partner migliore di quello attuale distrugge ovviamente la base affettiva necessaria a farci compiere anche quegli atti quotidiani che servono a mantenere vivo, o a riaccendere, il piacere del contatto fisico e affettivo: gli sguardi e gli abbracci affettuosi, le carezze e i toccamenti, tutti insomma quei piccoli gesti di tenerezza e affettuosità che fanno sentire alla compagna o al compagno l’attrazione che in fondo ancora esercita su di noi e la nostra gratitudine per la sua stessa esistenza. L’affettività e la sessualità femminile è particolarmente sensibile a queste attenzioni e la donna è capace di commuoversi ed infiammarsi fino a tarda età; bisogna convincersi che amore richiama sempre amore e che è biologicamente impossibile che chi è oggetto di questi gesti diretti d’affetto non li ricambi con la stessa intensità alimentando così quel circolo virtuoso che anche Dante mostra di conoscere molto bene col suo amor che a nullo amato amar perdona.
Sfortunatamente, la saggezza per capire lo stretto legame esistente fra sesso e affettività, e la saggezza di adeguarvisi modificando e riprogrammando il proprio modo di agire adattandolo su quello del partner, si conquista spesso solo con la maturità o la vecchiaia; tuttavia, se si sono seguiti i nostri consigli, si potrà ben presto constatare che tale saggezza è capace di annullare la stessa nostra percezione della vecchiaia con una sorta di ritorno di fiamma della vigoria e del giovanile ottimismo, e questo allontana anche il pensiero della morte attraverso una nuova gioia di vivere ed amare. Il risveglio dell’amore è infatti il miglior antidoto agli acciacchi e alla depressione della vecchiaia.
Il più grande nemico d’una felice vita coniugale resta tuttavia il turbinio di attraenti figure dell’altro sesso, spesso sessualmente aggressive, offerto dalla vita sociale e lavorativa. Il loro fascino spesso consiste solo nell’aura di mistero che circonda ciò che non si conosce, oppure si è indotti ad ammirare in loro ciò che noi pusillanimi non siamo capaci di trovare in noi stessi e nel nostro partner, e allora si vive della luce con cui abbiamo rivestito quella nuova persona e che ci appare immensamente superiore. Spesso contro la vuota luce riflessa di questa Fata Morgana si spunta anche la più forte determinazione a continuare ad amare il proprio partner e coltivare e mantenere con lui consapevolmente quel tenerissimo stato di complice eccitazione che rende felice la vita. Quando sfortunatamente ciò accade, la causa non risiede in una presunta innata predisposizione dell’uomo al tradimento, bensì nell’inclinazione del singolo individuo a farsi plagiare dal gruppo sociale in cui vive e dai degradati modelli mediatici che lo assediano. L’aumento odierno dei matrimoni falliti e dei divorzi dipende dunque dalla maggiore promiscuità sociale e dal conformismo che quasi impone all’individuo di adeguarsi ai costumi imperanti; ma dipende anche dalla fragilità e labilità individuale, che soccombe ai condizionamenti perché incapace di affrontare e riparare la minima difficoltà coniugale.
Una delle più precoci cause di delusione matrimoniale è il fisiologico raffreddamento del desiderio sessuale che segue al periodo della fregola amorosa e sopravviene inesorabilmente con l’inizio della convivenza e della routine; quasi sempre esso viene interpretato dal maschio come disamore, con tutte le reazioni che ne conseguono: frustrazione, offesa, rancore, ritorsione. Nel periodo giovanile dell’innamoramento non si sa infatti, o non si vuole mettere in conto, che un certo calo del desiderio sessuale è un fenomeno connesso con la procreazione; pochi infatti hanno voglia di riconoscere la pur lapalissiana verità che l’amore è stato indissolubilmente congiunto dalla Natura con la procreazione, in barba a tutte le rivoluzioni sessuali che vogliono separarlo da essa e piegarlo all’edonismo individuale: la Natura infatti ha stabilito che la grande fregola amorosa durasse solo quel tanto che serve ad ottenere la fecondazione; nella femmina c’è come una sorta di timer che fa durare la fregola il tempo mediamente occorrente per il concepimento (sia che questo realmente avvenga o no) e poi scatta sul “riposo”. Il marito dunque deve avere la pazienza di aspettare tempi migliori e non si deve crucciare se con la gravidanza si verifica nella moglie un calo del desiderio sessuale ma non del desiderio di coccole, che anzi aumenta enormemente; purtroppo, la pazienza non è una qualità bene accetta dai maschi, generalmente meno maturi delle compagne e unicamente ansiosi di esercitare i loro presunti diritti sessuali; non pensano neppure lontanamente che il sesso non è un alimento indispensabile e che un po’ di astinenza non gli nuocerà per niente.
Negli animali la disponibilità sessuale della femmina cessa addirittura del tutto con la fecondazione, e fino all’anno successivo prende il suo posto uno stato di repulsione e aggressività. Madre Natura non spreca nulla, e poiché il sesso non sta lì per far divertire animali o esseri umani ma solo per indurli, a torto o a ragione, a moltiplicarsi, di lui non c’è più bisogno quando la femmina resta incinta; sarebbe anzi nocivo, perché la distrarrebbe dall’allevamento della prole. Dopo il parto e il necessario lungo periodo dell’allattamento, negli animali ritorna la fregola, generalmente dopo un anno; ma anche nella donna, dopo il parto e il primo delicato periodo di allattamento (i famosi “quaranta giorni”), torna di nuovo una “piccola fregola”, che l’astinenza non può non rendere intensa. E’ necessario tuttavia ricordare che nella donna la diminuzione del desiderio sessuale durante la gravidanza può essere largamente compensata dall’affettività con cui esso è intimamente intrecciato; se questa quindi è coltivata con amore anche dal marito, è possibile che l’attività sessuale continui per tutta la durata della gravidanza; desiderio e affettività servono infatti ancora a tenere unita la coppia per le prossime cure parentali da dedicare al figlio che stanno aspettando e a tutti quelli che verranno più tardi.
Quale che sia la causa, dopo la fregola iniziale e il subentro della routine nella convivenza, l’attività sessuale della coppia assume un ritmo più tranquillo guidato dall’affettività, e questo lieve calo viene percepito da qualche marito immaturo e impaziente con sorpresa e amarezza come diminuzione dell’amore dovutogli; la sua sicumera di maschio non gli permette neanche di immaginare che la routine abbia fatto subire anche a lui, insieme alla compagna, lo stesso calo di desiderio; preferisce pensare che sia la tiepidezza della moglie a non stimolarlo più come una volta; non ha idea del grande disegno della Natura, per il quale l’esaurimento della fregola, così pericolosamente monopolizzante, ora permette a lui e alla compagna di attendere più tranquillamente alle occupazioni quotidiane necessarie alla loro stessa sopravvivenza e a quella della prole. Per la gente dalle semplici aspirazioni le occupazioni parentali e l’impegno che comporta il mantenimento della famiglia sono forse sufficienti a tenere in piedi un rapporto di coppia; per altri deve sopperire l’intesa intellettuale e culturale. Ecco allora che quando nei giovani giunge l’età di amare, non è al colpo di fulmine che ci si può affidare per garantirsi una lunga durata della vita insieme, ma all’oculatezza nella scelta del partner, che permette di sondare l’autenticità del rapporto e le eventuali affinità morali e intellettuali.
Il problema semmai risorge quando la coppia ha portato a termine l’educazione dei figli e questi, ormai grandi, se ne vanno per i fatti loro; in questa situazione, se i coniugi si erano troppo concentrati sui figli, sui problemi familiari e sul lavoro, perdendo a poco a poco l’interesse sessuale e perfino il piacere della reciproca presenza fisica e del contatto che sono il fondamento dell’affettività, tendono a sentire la loro vita come vuota di significato e andranno sicuramente incontro a un triste tramonto o addirittura alla rottura del matrimonio, se non impareranno di nuovo a corteggiarsi e a coltivare il piacere della loro intimità. E’ bene precisare che la menopausa non incide per niente sul desiderio sessuale della donna; se ciò sembra accadere, ne è generalmente responsabile il pregiudizio sessuofobico dell’ambiente sociale alimentato da un certo clero ignorante; tutto ciò comunque finisce per convincere i coniugi che quando il periodo della fertilità e della procreazione è finito, è finita anche la disponibilità sessuale di entrambi, per cui è peccaminoso o quanto meno disdicevole insistere alla loro età con i giochi amorosi. Fortunatamente non vi è niente di più falso, perché la Natura fa cessare le ovulazioni ad una certa età soltanto per impedire la nascita di figli nella tarda stagione della vita della donna, quando il declino delle forze e il degrado dell’intero organismo renderebbe difficile e precario il loro lungo e faticoso allevamento; inoltre, la possibile morte della madre per vecchiaia lascerebbe allo sbando i figli più piccoli.
Negli animali invece il periodo richiesto dalla prole per raggiungere l’autonomia è molto più breve e l’ovulazione quindi può continuare a manifestarsi annualmente fino a un’età molto avanzata, seppure limitatamente al periodo di fregola stagionale. Si comprende quindi perché nell’animale la fregola sia concentrata in quel brevissimo periodo dell’anno: nell’intervallo fra un anno e l’altro si esaurisce la necessità della presenza della madre, dal momento che la prole diventa generalmente autonoma. Nella donna in menopausa, invece, ci sono di regola ancora altri figli più grandicelli da accudire o da assistere nella loro difficile acquisizione dell’autonomia, perciò il desiderio sessuale adempie ancora alla funzione di tenere unita la coppia; la cessazione delle ovulazioni e dei cicli ormonali non ha infatti proprio niente a vedere col desiderio e l’attività sessuale, che può e deve restare ininterrotta. Per fortuna oggigiorno l’idea che la menopausa debba inibire o frenare l’attività sessuale non ha alcuna presa sulle giovani e più smaliziate generazioni, in questo campo certamente molto meglio informate degli anziani della vecchia guardia.
Ma torniamo a riflettere sul pericolo rappresentato dal turbinio di persone dell’altro sesso più attraenti del proprio partner e su come ci si possa proteggere dall’idea consumistica del “partner migliore” che molti credono di meritare per diritto naturale. Più d’uno si chiederà se gli autori di questo libro saranno magari così matti da consigliare di chiudersi nel proprio nucleo familiare ignorando i giardini più verdi degli altri, o almeno riducendo le relazioni pericolose col mondo esterno. A questa domanda, che pur nella sua apparente utopicità suona drammatica, si deve purtroppo rispondere che sì, specialmente ad un’età come quella della pensione, in cui non si è più sollecitati ad una frequentazione sociale e lavorativa, si dovrebbe avere il coraggio di fare tale scelta; tanto più che le trascorse esperienze di vita sociale dovrebbero avere aperto gli occhi sulla superficialità, ipocrisia ed egoismo dei rapporti sociali e dovrebbero avere indotto a rallentarli. Se nondimeno ci si sentisse incapaci di rinunciare alle tentazioni mondane, sarebbe saggio almeno tagliare più che si può il superfluo ed il falso delle influenze del mondo esterno; vivere saggiamente e felicemente la propria vita riscoprendo l’originaria ma mai del tutto scomparsa attrazione che aveva formato la coppia e la famiglia, dovrebbe essere un desiderio primario; dovrebbe prevalere la convinzione che solo la coppia di coniugi affiatati e sinceramente legati da reciproca fiducia e intimità consente la tranquillità e la sicurezza esistenziale di una vita pienamente e felicemente realizzata. Avendone la possibilità e la volontà, una volta pensionati si potrebbe scegliere di abitare in un luogo relativamente isolato dal mondo esterno, così da aiutare i protagonisti a vivere in una sorta di “fedeltà coatta”, ma assolutamente indolore se è una scelta della maturità e se è compensata dalla felicità di vivere votati positivamente l’uno all’altro.
Tale relativo isolamento si può realizzare in una casa di campagna, che è sempre il sogno di tutti; ma anche in un appartamento cittadino, se non ci si lascia andare alla tentazione di approfondire gli attraenti ma superficiali incontri con l’altro sesso fatti durante la giornata; allontanarsi dal pericolo non è difficile, se lo si fa appena nasce la tentazione, la quale spesso è determinata solo dalla curiosità, o da lusinghe e complimenti ricevuti, o dal narcisistico desiderio di rimettersi alla prova. Si dovrebbe sempre tenere a mente che una volta iniziata la nuova relazione sessuale, che al maschio maturo dà fittiziamente la sensazione di rinascere, è molto difficile tornare indietro; ma quando c’è la consapevolezza dei guasti che certamente si causeranno a tutti, compresi se stessi, anche il fascinoso turbinio di quelle attraenti figure può restare per sempre un innocuo turbinio di fantasmi, o servire addirittura a riattivare la fantasia erotica lasciando peraltro alla coppia la vera e concreta felicità, anche sessuale, da essi tanto a lungo curata. Questa “fedeltà coatta” ma indolore, che raccomandiamo di osservare, non è ispirata da uno strambo masochismo bigotto, ma dall’antica saggezza dei nostri avi, che anche quand’erano giovani, in una società prevalentemente contadina, una volta sposati non andavano in giro a caccia di tentazioni; un proverbio popolare, spesso sentito dalla saggia bocca delle nostre nonne, dava al marito addirittura il permesso di “annusare i profumi delle altre cucine”, purché poi “si mangiasse a casa”.
Una vita relativamente isolata non è una cosa impossibile, e talvolta può essere l’unico mezzo per evitare tentazioni destinate a portare solo disgrazie, disordine e sofferenze; chi la sceglie, magari dopo essere stato scottato da una sbandata sentimentale, non solo è un vero saggio, ma un uomo consapevole della fusione meravigliosa fra le sue due nature, biologica e spirituale, e del ruolo ch’esse hanno nella famiglia e nella continuazione della specie. Non è un caso, infatti, se la monogamia è inscritta nella nostra cultura e nei nostri geni più antichi e tenaci, avendo la funzione di mantenere compatto il luogo biologico delle cure parentali qual è la famiglia, cure che nella nostra specie, come si sa, durano a lungo, fino all’età più inoltrata di noi stessi e dei nostri stessi figli, ma certamente non così a lungo da non poter essere ancora rallegrate dal desiderio erotico-affettivo della coppia, desiderio che è il suo ancestrale cemento.
Sesso o amore?
In questo capitolo, dedicato anche ai giovani, dovremo dire delle cose che sembrano odorare di pulpito e d’incenso, ma a torto, perché in questo campo religione e laicità vanno stranamente d’accordo; fanno parte cioè della saggezza proveniente da tutti i popoli e da tutte le civiltà.
Cominciamo col dire – e ciò suonerà a molti orecchi come una stramberia molto poco laica – che oggi siamo sopraffatti e disgustati dall’uso dilagante dell’espressione “fare sesso” al posto di “fare all’amore”: la schizofrenia dei nostri tempi e la cosiddetta “rivoluzione sessuale” è riuscita a separare l’inseparabile, cioè la sessualità dall’amore. Si ritiene generalmente che questa frattura sia originata dalla ribellione a una presunta sessuofobia della Chiesa e alla sua pretesa di astinenza e castità al di fuori del matrimonio, ma è un grossolano errore credere che la scelta della castità abbia a che fare con la religione: la sacralità dell’unione sessuale ha radici antichissime ed è nata con l’uomo molto prima della nascita di qualunque chiesa. Infatti la regolamentazione della sessualità, suggellata da fedeltà e castità, è un’esigenza biologica ancestrale comune non solo all’Uomo in età preistorica, ma anche a moltissime specie del regno animale; per rendersi conto dell’ubiquità di tali regolamentazioni, è sufficiente osservare i rigidi comportamenti sessuali e i cerimoniali matrimoniali nelle tribù ancora oggi esistenti in quegli angoli del mondo in cui pur si vive ancora come all’età della pietra; è solo infatti da pochi millenni, che le religioni si sono appropriate della castità e del matrimonio come se fossero state loro ad inventarli e a dargli l’impronta del Sacro.
La distinzione fra sesso e amore ha generato e perpetuato un comportamento sessuale fine a se stesso favorendo una dilagante promiscuità e mettendo in pericolo l’esistenza della famiglia tradizionale, la cui fine fu teorizzata perfino da eminenti psicologi socialisti come Willhelm Reich, David Cooper, R.D. Laing, ecc. Ma non si creda che tale teorizzazione fosse fatta a cuor leggero; per dare un’idea anzi di quanto fosse problematica, forzata e dolorosa la ricerca di un utopistico equilibrio sessuale-affettivo nei collettivi socialisti che si andavano formando nei primi decenni del 1900, e di quanto ne fossero consapevoli i loro stessi teorici, è utile leggere queste parole di W. Reich tratte proprio da “La Rivoluzione Sessuale”: La gente non se la sentiva più di vivere in famiglia, ma neanche di vivere senza di essa. Non se la sentiva di vivere per sempre con lo stesso partner, ma neppure di vivere sola (…) Soltanto se si sa quanto dolore si provi al pensiero che il compagno amato abbracci un’altra persona, soltanto se se ne è avuta esperienza attivamente e passivamente, si può capire che questo non è un problema meccanicistico ed economico, ma strutturale (…) La gioventù sovietica ha pagato a caro prezzo questa lezione (cioè la sperimentazione di nuove modalità e costumi nell’unione sessuale – N.d.R.).
La cosiddetta “rivoluzione sessuale nostrana”, quella relativistica del “fate come vi pare”, tipica della nostra civiltà tecnocratica e televisiva, è dunque solo uno dei tanti inganni da aggiungere a tutti quelli di questa epoca spiritualmente opaca. Il sesso facile è una moda inquinante, e molti dei guai esistenziali che affliggono oggi uomini e donne dipendono dal fatto che fin dal primo approccio si lasciano andare senza alcun freno a quella libidine collettiva che viene suggerita massicciamente dai mass-media con le stesse modalità di tutti gli altri consumi; anziché farsi guidare dall’attrazione solo quando è suscitata dalla profonda conoscenza della personalità dell’altro, cioè dall’amore, ci si lascia comandare dalla momentanea attrazione. E’ naturale sentire attrazione, da giovani o da vecchi, per la bellezza fisica di una persona, ma ciò non è assolutamente garanzia di una buona unione coniugale, come sanno molti di quelli che hanno ceduto al cosiddetto “colpo di fulmine”. Questo infatti è un esempio molto esplicativo della superficialità di un approccio amoroso non abbastanza meditato, perché nasce e si sviluppa solo nella fantasia di chi lo sperimenta; esso fornisce solo una conoscenza molto parziale del partner, facendoci vedere soltanto ciò che l’altro vuole farci vedere, ma soprattutto ciò che noi vogliamo vedere di lui. Tutto il resto insomma ce lo inventiamo; ma questo purtroppo per molti è sufficiente ad aprire le porte al “sesso facile”.
Nel vero amore, che esiste fortunatamente anche oggi, una persona non del tutto bestiale non pensa che l’altro sia un oggetto sessuale da “consumare”, ma ha una sete inesauribile della sua conoscenza, gode nell’apprendere tutti i particolari della sua vita, gli interessi, le vedute esistenziali, i suoi sogni, poiché anche questo è un modo di fondersi con la sua persona e di possederla; l’innamorato ha certamente anche la voglia cocente di abbracciare e coccolare chi ama ed anche di condividere un’intimità sessuale, ma più di tutto guarda subito all’amato come a un possibile compagno o compagna di vita e non ad un oggetto da consumare. L’amore vero infatti si nutre dell’intera persona fisica e spirituale dell’amato, laddove l’interiorità gioca un ruolo primario. In tempi neanche tanto antichi piaceva molto l’espressione “anima gemella” e quando si credeva d’averla trovata si provava quasi un sacro timore di violarla o sciuparla; prima di fare all’amore si sentiva istintivamente ch’era bene lasciar passare un certo periodo per permettere la reciproca conoscenza e l’affiatamento; perfino quando, dopo un congruo periodo di conoscenza, si decideva di fare all’amore, si sentiva che era per suggellare la scelta santificando l’unione, piuttosto che soddisfare la propria libidine.
Il “sesso facile” di oggi invece non vuole vedere nient’altro del partner se non ciò che produce effimero piacere; è quasi una masturbazione a due, ognuno chiuso nella propria solitudine, quindi il rapporto non può che finire presto con un senso di nausea, di vergogna, di vuoto. Se poi per caso accade che il “fare sesso” sia molto piaciuto, è ancora peggio, perché si è catturati in un vortice totalizzante che non termina se non con la distruzione e la sofferenza di tutti, in una coazione a ripetere dove c’è solo il Sesso, Signore e Padrone della cecità della mente e dello spirito, che impedisce qualunque approfondimento della conoscenza. Il guaio è che una tale tempesta di sensi fa credere a quei poveri infelici d’aver trovato il partner per la vita, ma quando la fregola è passata e si accorgono che avevano trovato solo un pene e una vulva in calore, toccano amaramente con mano la triste realtà di non avere nulla in comune, nemmeno più l’attrazione sessuale, e sopravviene quanto meno la noia e la repulsione; quando infatti manca la creativa stimolazione reciproca, che può esser data solo da una unione spirituale e culturale, anche il “fare sesso” con la donna o l’uomo più belli del mondo perde presto d’interesse.
Allora, cosa fare? La risposta, a costo di apparire beghini, non può essere che quella che da millenni si è data la saggezza dei popoli: all’inizio d’un rapporto – e questo vale per giovani e meno giovani – ci si dovrebbe astenere dalle effusioni amorose troppo spinte seppure ciò costasse un piccolo sforzo di volontà; anche dai baci, eventualmente, se si sa di essere deboli, e ciò per il tempo necessario a conoscere meglio il proprio partner. Non si creda alla menzogna di chi dice che il sesso è un modo indispensabile per conoscersi: è solo un alibi per legittimare la libidine di chi lo afferma. Cosa c’è infatti, che il sesso permetta davvero di conoscere? Ciò che tutti conoscono benissimo e sanno fare per istinto anche meglio? Ogni persona adulta dovrebbe sapere che prima o poi, passata la fregola, il sesso non ha più la carica bruciante dei primi tempi; se invece ha trovato in entrambi un fertile terreno affettivo-culturale, darà avvio ad un più importante e costruttivo rapporto amoroso che si nutre anche di intese e di affetti; allora anche il sesso avrà il suo profondo significato esistenziale e prenderà il ritmo più tranquillo ma sicuro di una affettuosa vita di coppia. Quando c’è l’amore vero, cioè la stima, la fiducia, la confidenza, l’intesa, tutto funziona perfettamente, anche la sessualità, seppure a un livello meno congestionato. Perciò nel periodo iniziale è più importante dedicarsi ad approfondire la conoscenza dell’altro, prima di decidere se convenga “farlo Papa”; ma ciò si può scoprire lucidamente solo se si sta lontani dal sesso, la cui cortina di fumo tutto avvolge e nasconde. Di “fare sesso” non l’ha ordinato il dottore, e tutti quelli che all’inizio d’un rapporto se ne astengono godono di ottima salute. Non è un uggioso modo di pensare da baciapile, ma saggezza antica di tutti i popoli e di tutte le culture, perfino di quelle più primitive, che hanno da sempre protetto con riti e rigide regole matrimoniali la castità e la sacralità dell’amore. Altro che favole sulla cosiddetta liberazione sessuale e sul sesso facile!
Le nostre nonne dicevano sempre (ma purtroppo le mamme di oggi non osano più insegnarlo) che se dopo la prova di un fidanzamento casto due giovani non si piantavano, era un segno d’amore duraturo. E poi non è difficile per una giovane spiegare anche ad un partner impaziente le ragioni di una scelta temporanea di castità; se lui le capisce, è già un grosso punto a suo favore; se non le capisce, significa che è un imbecille omologato, oppure uno che in testa ci ha “solo quello”; un individuo in ogni caso da lasciar perdere. Gli uomini infatti, per giustificare le proprie pressanti richieste sessuali, usavano proclamare alle ragazze credulone e facili a commuoversi (ma forse ci credevano davvero anche loro) l’idea balzana che il maschio, diversamente dalla femmina, non può trattenere la propria libidine ed ha un naturale bisogno di sfogo; il bello è che questa storia ha convinto un bel po’ di donne giovani e meno giovani, alle quali non era stato mai detto che nessuno ha avuto disturbi a causa dell’astinenza sessuale.
Con ciò non abbiamo voluto dare indicazioni categoriche né ai giovani né agli anziani ancora arzilli, indicazioni che peraltro resterebbero inascoltate; siamo convinti anzi che nessuno oggi, pur con tutta la sua buona volontà, rinuncerebbe a verificare, prima di iniziare una convivenza, l’idoneità sessuale del partner, vista anche la smodata proliferazione, anche fra i giovani, dell’impotenza, dell’omosessualità e di molte perversioni; resta comunque sempre valida l’esortazione all’astinenza almeno durante il giusto periodo di tempo in cui si sta sviluppando la conoscenza reciproca. Forse stare castamente per un po’ insieme a una persona che ci piace costa fatica sia al giovane che all’anziano, ma non si muore; e dopo se ne godranno a lungo i frutti, forse anche per tutta la vita.
(…)
Sessualità, famiglia, cure parentali
E’ senz’altro vero che la coppia può essere apparentemente tenuta insieme anche da una quantità di attività ed obblighi della vita quotidiana, familiare, sociale, lavorativa; ma si può in tutti questi casi chiamarla ancora “vera coppia”? Il legame di due persone tenute sotto lo stesso tetto soltanto da interessi materiali o dall’abitudine è affettivamente sterile: si tratta di un legame artificiale fra una coppia di soci, non di amanti come invece dovrebbe essere. Il cemento affettivo fra un uomo e una donna, ciò che li tiene fisiologicamente e felicemente insieme è, fin dalla notte dei tempi e con buona pace dei cosiddetti benpensanti, la conservazione e la coltivazione dell’antica attrazione fisica; come tale, comporta sempre il mantenimento di un certo grado e ritmo di attività sessuale, anche se nel caso della coppia anziana non deve obbligatoriamente concludersi con la penetrazione.
Che questa attività sia il cemento affettivo della coppia non deve meravigliare e tanto meno scandalizzare; la prole dell’Homo Sapiens impiega un tempo talmente lungo prima di diventare autonoma, da essere impossibile per la madre portare a termine le cure parentali da sola: il neonato, il bambino, l’adolescente, e poi in buona parte anche l’adulto, hanno per un tempo lunghissimo bisogno delle cure e dell’assistenza di ambedue i genitori, prima che il nuovo individuo sia capace di vivere di vita propria. L’evoluzione umana allora ha inventato strategie atte a tenere uniti i genitori con un meccanismo di coazione automatica e istintiva profondamente radicata nella fisiologia del nostro essere, e cosa c’è di più istintivo e automatico dell’attrazione sessuale? L’attrazione inoltre doveva essere di lunga durata, per coprire tutto il tempo necessario alle cure parentali; in pratica per tutta la vita, dato che dagli albori dell’umanità fin quasi ai nostri giorni i mezzi anticoncezionali erano molto scarsi e quanto mai primitivi; d’altra parte non se ne sentiva neanche il bisogno, dato che i figli erano “benedizione di Dio”, cioè forza-lavoro e garanzia di assistenza nella vecchiaia; pertanto al primo figlio ne seguiva presto un altro e poi un altro ancora, per di più con una indeterminatezza che impediva qualsiasi programmazione. Solo il costante perdurare dell’attrazione sessuale esercitata dalla femmina, in uno con la sua disponibilità, poteva dunque assicurarle una lunga unione col padre dei suoi figli.
La Natura ha ottenuto questo risultato in diversi modi. Il primo è stato di rendere l’ovulazione indeterminabile dall’esterno facendo sì che la disponibilità sessuale della femmina fosse continua e relativamente indipendente dall’ovulazione; negli animali invece, i cui figli raggiungono generalmente entro l’anno autonomia e maturità sessuale, essa è limitata ad un solo breve periodo di pochi giorni, dopo il quale il maschio non ha più alcuna utilità né interesse a rimanere accanto alla femmina. Anche l’invenzione dell’amplesso frontale è stata per l’Homo Sapiens un’innovazione non di poco conto a causa del coinvolgimento di altri organi e sensi, oltre a quelli destinati alla copula, capaci di integrare e approfondire l’attrazione e l’eccitazione; il fatto di stare durante la copula viso contro viso e di guardarsi negli occhi si è tradotto in un più intenso e diretto scambio affettivo. Infine non è da sottovalutare lo sviluppo di uno spiccato dimorfismo sessuale che, a dispetto degli odierni modelli femminili mascolinizzati, costituisce per il maschio un importante richiamo sessuale: la larghezza del bacino, il turgore del seno, l’abbondanza e ubiquità dello strato adiposo, la prominenza del ventre, la minore pelosità, la sottigliezza e delicatezza della cute, e infine quell’accumulo di grasso nelle natiche e nelle cosce che è la dannazione delle donne di oggi (ma non degli uomini) e che in talune razze africane è apprezzato fino al punto di diventare un’istituzione come la steatopigia, che è l’ipertrofia adiposa di cosce e glutei. Molti antropologi pensano perfino che la formazione di un seno turgido anche al di fuori del periodo di lattazione sia stato un escamotage per surrogare, nel periodo di passaggio dell’amplesso da tergale a frontale, il richiamo esercitato fino allora dalla turgidità e visibilità delle natiche scimmiesche nell’antica posizione da tergo del coito. Che l’amplesso frontale sia un’invenzione atta a sollecitare l’affettività, è dimostrato anche dal fatto che esso si osserva in alcune odierne scimmie antropomorfe, dai comportamenti sociali e affettivi già molto vicini a noi.
Tutti questi cambiamenti o adattamenti hanno dunque contribuito a introdurre fra i primi ominidi la grande novità dell’affettività. E’ vero che forme più o meno evidenti di affettività sono osservabili anche in diversi animali superiori quali ad esempio i canidi e i felidi che vivono in branco, oltre agli animali domestici che ci sono familiari e i primati già menzionati; ma l’assoluta novità dell’Homo Sapiens è l’enorme intensità e durata del legame affettivo, biologicamente destinato ad estendersi per tutta la vita. Tuttavia attrazione sessuale ed affettività non devono ancora essere sembrate garanzie sufficienti ad assicurare una salda unità della coppia per tutto il tempo necessario, perché la provvida Natura ha favorito con la selezione naturale gli individui e le popolazioni che si sono date, attraverso i più svariati rituali, anche regole sociali per la protezione della famiglia. Uomini e donne infatti – a dire il vero con una preponderanza degli uomini – hanno anche una inclinazione di segno opposto che talvolta li induce, per curiosità, eccesso di libidine, o altri motivi, a mettere il naso fuori dalla famiglia.
L’evoluzione degli ominidi è giunta quindi già in epoca preistorica alla regolamentazione delle unioni con l’istituzione del matrimonio e l’obbligo della fedeltà. Se poi il maschio riusciva lo stesso a fare qualche scappatella (come d’altronde anche la femmina, che volentieri accettava talvolta le avance di qualche giovane maschio della tribù) ciò non invalidava affatto l’istituzione del matrimonio, nato dalla imprescindibile necessità biologica di collaborazione domestica e parentale. Inoltre, se anche la scappatella del maschio obbediva all’istinto di spargere un po’ dappertutto i propri geni col seme, questo infine giovava al rimescolamento del patrimonio ereditario creando nuova diversità biologica; non aveva quasi mai il significato di una nuova relazione fissa, perché il maschio restava volente o nolente legato alla sua famiglia come imponeva il suo clan e il suo legame coi figli e la moglie, come d’altronde avviene fondamentalmente tuttora; cambiano le usanze e i riti, ma non la sostanza dell’istituzione matrimoniale. Poiché anche le strutture sociali e le istituzioni si evolvono seguendo le stesse leggi darwiniane dell’utilità e della selezione, si può affermare che l’istituzione matrimoniale, conservatasi nei geni attraverso i millenni, è stata fino ad oggi una formidabile invenzione per tenere unite le famiglie durante tutto il tempo in cui le femmine continuavano a far figli da crescere ed ha così permesso la felice continuazione della specie, come tutti noi siamo qui contenti di testimoniare.
Il fenomeno moderno della disgregazione della famiglia negli stati industrializzati può essere allora un fenomeno di degrado che non si sa ancora dove possa portare. E’ già quasi un secolo che ha cominciato a diffondersi sempre più il trend dei multi-matrimoni e non si può ancora prevedere se sia un nuovo ramo dell’evoluzione oppure un effimero fenomeno di devianza destinato ad essere presto o tardi eliminato. Allo smembramento delle famiglie ha sicuramente contribuito la drastica diminuzione della prole in tutte le società avanzate, che ha liberato le donne dalle lunghe cure parentali e dalla necessità della collaborazione maschile, dando il via al degrado dei costumi; tuttavia, poiché l’evoluzione non segue un disegno prestabilito, ma è il prodotto di miriadi di tentativi casuali, la maggior parte dei quali abortisce per inefficienza, può darsi che tale tendenza sia un ramo secco della cieca evoluzione destinato a cadere come i tanti altri che essa ha prodotto nei milioni di anni. Criterio infatti della preferenza data ad uno piuttosto che ad un altro tentativo evolutivo è l’utilità e soprattutto la non nocività di ogni innovazione: così le innovazioni nate da mutazioni o variazioni sfavorevoli alla vita non hanno seguito, allo stesso modo degli individui inetti alla vita per infertilità, malattie, minori attrattive sessuali, o scarsa idoneità ad affrontare le avversità.
Poiché l’istituzione matrimoniale si è mantenuta nei millenni, significa pure che essa è “convenuta” anche al maschio, nonostante le sue scappatelle. Nelle rare aree del mondo in cui la poligamia è teoricamente ammessa, essa è in realtà praticata solo dai pochi individui più ricchi come sfoggio di status sociale o per necessità di generare più figli come forza-lavoro, e ciò non fa che confermare quanto il maschio abbia sempre avuto bisogno della sicurezza costituita dalla famiglia e dalla femmina come sostituto della madre; sotto questo punto di vista, l’harem potrebbe essere considerato come un’organizzazione retta effettivamente da tante femmine-madri. E’ anche innegabile che la poligamia si accorda con la teoria della naturale inclinazione del maschio a sparpagliare i propri geni in molte vagine, ma se la forza dell’evoluzione è riuscita ad imbrigliare tale inclinazione, ciò è avvenuto perché al maschio conveniva accettare le regole limitanti del matrimonio. La femmina invece, dovendo investire le sue forze su un solo figlio per volta e per molto tempo oltre i nove mesi, poteva essere interessata a tradire il compagno soltanto se sedotta da un maschio più forte e più attraente, presumibilmente più capace di lui di provvedere alla famiglia; assillato quindi dal timore d’essere abbandonato, il marito non poteva che accettare di buon grado i limitanti obblighi matrimoniali come garanzia della sua stessa sussistenza.
Fin dagli albori, all’epoca dei cacciatori e raccoglitori, il maschio ha sempre avuto solo da guadagnare dal legame con la femmina: stabilità, nutrimento, cure personali, forza-lavoro dei figli più grandicelli. Che cosa facevano infatti gli originari ominidi maschi, se non portare qualche volta dalla caccia unpo’ di proteine da mangiare che subito sbandieravano con grande spiegamento di armi, di livree, di piumaggi e di danze propiziatorie, magari di guerra? Poi per tutto il giorno e forse settimane, quando la caccia andava male, non facevano assolutamente nulla, tranne che fabbricare armi e mangiare le erbe e le radici raccolte dalle donne, accoppiarsi, e poi smaltire l’esubero di forze in danze di guerra. L’agricoltura e la vita stanziale, subito accettata di buon grado anche dai maschi guerrafondai in quanto gli assicurava il pane quotidiano, l’hanno inventata le donne, che per millenni ci hanno anche lavorato di persona mostrando come l’apporto del maschio fosse limitato alla difesa della famiglia da aggressioni e ruberie, e alla disponibilità del suo seme affinché l’evoluzione guidata dalle donne potesse avere il suo corso.
E’ verosimile inoltre che il timore di essere tradito e abbandonato dalla compagna-madre fosse così forte da dare origine a una lunga competizione, forse durata millenni, da cui il maschio è infine uscito vittorioso assicurandosi il controllo della femmina e dei figli e dando avvio alla nascita del sistema patriarcale; il dominio sulla femmina e sulla famiglia gli garantiva non solo la sicurezza genetica della sua discendenza, ma allo stesso tempo anche il controllo sui depositi alimentari e su tutti i beni prodotti dalla donna; si è venuta così a creare la necessità di legalizzare e garantire col matrimonio la sua dominanza.
Può darsi che il nuovo trend che si osserva nei costumi sessuali e familiari di oggi trovi una sua nicchia di utilità nelle artificiali strutture socio-economiche create dal capitalismo avanzato, che si sono in ogni campo allontanate di molto dalla naturalità. Ciò spiega come mai le società capitalistiche siano tanto avversate dalle società cosiddette meno avanzate, di regola purtroppo guidate dalla religione e dall’integralismo, ma molto più aderenti alla Natura. Esse sostengono “a spada tratta” che il modo di vita del mondo occidentale non è buona cosa in quanto ha portato solo al degrado delle anime, dei corpi e delle strutture sociali e agitano il fantasma dell’autodistruzione verso cui la nostra “civiltà” probabilmente si sta incoscientemente e arrogantemente incamminando da quando ha invaso il Pianeta. I maschi attuali in fondo, con tutti i loro razzi interplanetari e le loro raffinate tecnologie, non sono molto dissimili dai loro antenati ominidi, capaci solo di uccidere e fare danze di guerra arrecandosi essi stessi del male.
E’ facile dunque immaginare che l’American way of life, dopo aver contagiato mezzo mondo, sia un ramo secco dell’evoluzione e presto o tardi sarà sostituito da quello portato dall’invasione di masse di popoli enormemente più vitali perché mantenutisi aderenti alla Natura. Stanno già straripando da quei confini che gli avevamo imposto nel tentativo di sottometterli alla nostra cultura, mentre ora saranno essi a sottometterci alla loro con una esorbitante prolificità; mentre infatti loro senza sosta si moltiplicano, noi stiamo ancora discutendo sull’anima degli embrioni come una volta si discuteva sull’anima delle donne, e questa è un’ulteriore lezione sulla validità delle leggi darwiniane anche applicate all’evoluzione delle strutture sociali: la selezione naturale agisce impedendo agli inetti e alle strutture inefficienti di riprodursi, mentre favorisce la moltiplicazione degli individui e delle strutture più idonee a conservare la Vita sul Pianeta sotto qualunque forma e assetto, anche se sgradevole per il nostro modo di sentire e la nostra cosiddetta civiltà. Se la nostra non ha saputo inventare che alienazione, computer, razzi, e figli in provetta, probabilmente è destinata ad essere sommersa da chi i figli li fa in modo naturale e in abbondanza.
di Veniero Scarselli