“Ma per l’amor del cielo, è proprio inutile tutto quel che non ci procura un immediato guadagno? Hai ritrovato un amico dopo tanto tempo e già lo vedi come una merce“
─ Johann Wolfgang Goethe (Wilhelm Meister, gli anni dell’apprendistato, Adelphi)
Meridiano dello stomaco
Avevo sentito questo termine da un conferenziere famoso, Igor Sibaldi. Mi aveva colpito una frase: “Se a una persona togli un dolore al ginocchio, magari puoi fargli peggio; metti che ha un problema col meridiano dello stomaco e gli sale a livello gastrico”. Questa parola fa scattare subito la mia attenzione. Così ho cercato qualche riferimento web, e ho trovato una pagina interessante dove spiega cos’è questo meridiano e quali problemi può causare. Ma dopo aver letto, la biografia della persona che scriveva questo sito mi ha lasciato qualche dubbio.. E anche alcune persone, con cui sono entrato in contatto in quest’ultimo periodo, hanno questa cosa in comune: credono in qualcosa che va oltre le mie conoscenze “medie”. Così ho cercato di capirne di più.
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Da alcuni anni si stanno sviluppando tutta una serie di figure professionali – ben consce che la ricerca di senso e di significato è alla base dell’agire umano – che affrontano il problema della motivazione da una prospettiva in qualche modo diversa. Sono spesso psicologi, che spostano il discorso dalla ricerca di senso alla ricerca di una metodologia efficace, a volte breve, a volte più lunga, orientata agli obiettivi e specializzata nei differenti ambiti professionali e aziendali. Alla base di questo filone di pensiero c’è una constatazione, ovvero che il cognitivismo classico (psicologico), che per tanti anni ha accompagnato la ricerca dei “perché” nell’analisi personale, analizzandone la storia, il vissuto emotivo, il contesto famigliare, l’attaccamento e tutto quello che ha caratterizzato il passato della persona, spesso non risolve l’eventuale problema (o i problemi). La persona riesce ad avere un quadro del proprio passato, gli eventuali conflitti interiori, le problematiche cognitive, ma non cambia il loro modello, non si trasforma, non modifica il comportamento. In altre parole, forse capisce e afferra qualcosa in più del proprio Sè (e questo non è certo poco) ma non modifica il suo agire, o non lo modifica abbastanza. Capire non porta automaticamente a cambiare, perché spesso questo processo, seppur necessario, non è sufficiente.
Il processo del cambiamento
In alcuni contesti si è quindi cercato di spostare l’attenzione su obiettivi definiti e caratterizzati da connotati specifici: raggiungibili, realistici, scalabili, e con un’attenzione specifica sul mondo emotivo-relazionale, con l’intento di indirizzare la persona su un cambiamento effettivo, e sui risultati, comprendendo quale passato abbia generato i traumi o i disturbi ma senza conferirgli un tratto bloccante: se ci sono dei blocchi e delle narrazioni, non è importante solo analizzarle e capirle (rischiando spesso anche di giudicarle ed etichettarle), quanto di averne coscienza ma per guardare avanti e gettarseli dietro le spalle.
La ricerca del modello di causa-effetto della psicoterapia cognitivo.comportamentale approfondisce l’aspetto del perché agiamo (in un certo modo). La domanda è: sapere perché si ripete uno stesso comportamento che si ritiene in errore, cambia il comportamento, risolve il problema? Molto spesso no, appunto. E allora si arriva a un nuovo approccio, che tende non tanto a far salire a livello cosciente tutti le motivazioni che hanno portato al problema, ma capirlo e insieme risolverlo il prima possibile affrontando subito concretamente le soluzioni: le soluzioni sono parte del problema.
E il cardine di questa metodologia si basa su due elementi: uno è il fare, inteso come l’agire individuando degli obiettivi precisi, non fermandosi a ragionare sul proprio Sé ma “ribaltando l’esperienza”: agire in direzioni nuove e diverse fin da subito affrontando una sfida che può essere piccola o grande. L’altro è il poter essere efficaci: l’efficacia (e in parte l’efficienza, anche se questo termine non mi piace) conta, perché con la metodologia e l’azione si possono superare molte debolezze, limitazioni e soprattutto, trovando un senso dato dall’agire, dal porsi un obiettivo efficace nel proprio contesto esistenziale. Il senso di quello che si fa arriverà nell’agito, non prima. L’azione conferisce sviluppo alla motivazione stessa e alla comprensione e non viceversa, come spesso avviene nella psicoterapia classica. La differenza è nella metodologia, nell’approccio e nella sequenza di affiancamento (che sia coaching, counseling o psicologica).
È interessante notare che è difficile per chi ha una formazione tecnica credere totalmente in questo approccio, sapendo che la motivazione interiore è quella molla fondamentale che ci spinge verso l’azione molto più di quanto l’azione stessa potrà mai ottenere, anche se soddisfacente e perfezionata. Ma questo è anche un limite, che può essere culturale e legato proprio alla visione di una realtà circostante troppo polarizzata, in “bianco e nero”.
Chi è appassionato e segue queste metodologie ─ e ne ho conosciuti alcuni in questi anni ─ confida molto in esse perché applicandole con perizia, e mettendole in pratica si è visto che ottenengono risultati. L’approccio forse più famoso è quello della terapia breve strategica, portata in Italia da Giorgio Nardone sulla base delle intuizioni di Paul Watzlawick della Scuola di Palo Alto. In ambito internazionale non è la sola: sono molti i corsi, sulla scia del successo di questo metodo nel mondo anglosassone, che cercano di armonizzarlo con l’ambito europeo ─ costantemente alla ricerca di senso.
Uno dei guru affini a queste scuole di pensiero, che ha per mantra l’efficacia e l’efficienza, è senza dubbio David Allen con il suo il metodo GTD (Getting things done), su cui ha costruito un impero fatto di consulenze, di libri e di talk su TED. Io stesso sono iscritto alla sua newsletter, e sono un suo fan anche solo per l’energia che infonde per cercare di rendere migliore la vita degli altri. Tuttavia, non ho trovato cose che non avessi già in qualche modo individuato io stesso per risolvere i piccoli grandi problemi dell’organizzazione personale (ma io sono un ingegnere, e questo forse influenza la mia ricerca efficientista).
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La crescita personale tra sfide e vaghezza
Parallelamente, a partire da questi nuovi approcci si sono innestate le numerose e variegate scuole di coaching, counseling e mentorship che sono ormai una realtà consolidata, diffusasi in Italia e in Europa e suddivisibili, grossolanamente, tra life coach per lo sviluppo personale, business coaching o coaching aziendale, e sport coaching, interessanti per la molteplicità di competenze coinvolte. Poi ci sono per estensione i “qualcosa-coaching” declinati in varie espressioni (spiritual coaching, mental coaching, ecc.). E qui si entra, a volte, in un campo meno rigoroso o quantomeno sperimentale.
In certi casi bisogna anche fare dei distinguo. La terminologia nata in questo ambito è davvero ricca: si va dalla crescita evolutiva alla PNL (Programmazione neuro linguistica), dalla non meglio definita “neurosemantica” e il neuromarketing allo “yoga della risata”, alla famigerata quanto vituperata (e sostanzialmente inesistente) “legge dell’attrazione”, passando per il metodo RQI, l’enneagramma e via via per una pletora di neoparole e termini perfino esoterici. In tutti questi percorsi si affronta il “segreto dello star bene”, cioè la famosa crescita personale (non farò nomi, basta cercare per trovare centinaia di siti e di corsi sull’argomento). Questa corrente di pensiero ha davvero molti sentieri diversi e alcuni sono piuttosto dubbi: il famoso mantra del pensa positivo, e attirerai energia positiva, spesso accompagnati da qualche sciocchezza sul “mondo quantistico che conferma” (ogni volta che trovate la parola “quantistico” fuori dall’ambito fisico c’è da star sicuri che ci sarà qualche cialtroneria), così come il “siamo tutti uno/siamo una cosa sola con l’universo” e via dicendo. Ma, come dicevo, l’offerta è molto ampia e le espressioni più varie di sprecano, così possiamo perderci. Meglio tentare di inquadrare meglio il fenomeno.
A parte i costi, molto differenti, ci sono alcune caratteristiche in questo ambito:
- La parola chiave è performance o sviluppo personale. Non più o non solo i pilastri della psicoterapia “classica” (capirsi, conoscersi, comprendersi, accettarsi, e così via a seconda della scuola di pensiero – e ce ne sono 25, e oltre 45 modelli psicodinamici!), ma evolversi e migliorare le proprie capacità con il raggiungimento di maggiore comprensione emotiva, cognitiva, e wellness, attraverso una serie di strumenti utili all’obiettivo.
- Si parte da uno stato psicofisico già buono. Spieghiamo meglio cosa significa: la persona non deve avere malattie psichiche (abbastanza ovvio) ma anche problemi mentali o disturbi limitanti che siano materia di psicoterapia e debbano essere trattati da uno specialista (psicologo, psichiatra o neurologo che sia). Il coach (specialmente il life) si occupa della definizione di un obiettivo o di un problema da risolvere, che tuttavia non può (e non deve) essere di tipo psichico. Se rileva una difficoltà di questo tipo, deve indirizzarlo verso il professionista adatto.
- Sul Web e i social network c’è un proliferare di iniziative di coaching a vario titolo, e ognuno sgomita per avere un posto al sole in questo ambito in crescita, anche se i nomi che hanno “sfondato” o che godono di una buona reputazione sono in realtà pochi. Sono perlopiù formatori professionisti, psicologi, ex sportivi, o persone che per qualche motivo hanno avuto successo nella vita, hanno imparato a metodizzarlo e si sentono pronte a comunicarlo ad altri per ottenere risultati migliori, in genere partendo da un approccio multidisciplinare (ad esempio, unendo tipicamente hard e soft skill).
- Alcuni personaggi (non la maggior parte, per fortuna) di questo settore manifestano purtroppo una spiccata sensibilità alla critica e tendono a “dire cosa si deve fare”. Forse l’ego ipertrofico o qualche problema di riconoscimento, ma diciamo che – secondo me – è anche la convinzione di aver raggiunto una sorta di “livello superiore” che li porta a giudicare ogni critica come offensiva (niente di nuovo, per carità, ma almeno uno psicologo o uno psichiatra questi aspetti sanno gestirli) e soprattutto li mette a rischio di risultare più dei manipolatori invece che dei formatori neutrali. L’equilibrio di ascoltare senza giudicare, è sempre difficile da mantenere..
- Continuità e metodo. Facendo piccoli sforzi ma con continuità e metodo, si ottengono grandi risultati. Questo potrebbe essere anche un po’ il segreto di molti corsi che ho visto. Non certo una novità, ma il lavoro personale, declinato su una condivisione sulle piattaforme online oltre alle attività in presenza, e con l’aiuto di un coach, forse può fare la differenza. Si va dalla postura, alla respirazione, al movimento, all’atteggiamento mentale (il Mindset del buon vecchio Martin Seligman), alla gratificazione e la gratitudine, e un po’ alla volta si raggiunge (o si riconquista) la desiderata crescita personale. Spesso migliaia di commenti di persone entusiaste e grate confermano che la cosa, almeno apparentemente, funziona: si sentono migliorate, si sentono più efficienti, più consapevoli. E probabilmente lo sono.
Concludendo
C’è sicuramente molto marketing in questo approccio, ma anche teorie, convinzioni, paradigmi e approcci innovativi da non sottovalutare. Interessanti sotto diversi punti di vista, alcuni approcci soffrono in alcuni casi di un’efficacia non dimostrata, ma vale la pena approfondire e individuare le professionalità che in questo settore si stanno diffondendo. Spesso, cosa non secondaria, counselor e coach, con una preparazione adeguata, sono anche le prime frontiere per individuare problemi psichici (più o meno importanti) della persona, non riscontrati dall’ambiente famigliare o nel contesto sociale e lavorativo, e da questo eventualmente indirizzarli verso uno specialista che abbia le competenze e gli strumenti per affrontare eventuali psicopatologie…