Image by Roby Ferrari via Flickr
In questi giorni ci stiamo preparando ad un importante passaggio parlamentare. E’ da mesi, in particolare dalla scorsa primavera, che si assiste allo scontro personale, prima che politico, tra i due maggiori leader della ex-maggioranza di Governo: Fini e Berlusconi. Siamo arrivati ormai alle fasi finali di questo conflitto di potere, e il 14 dicembre verrà votata la fiducia al governo Berlusconi. Dal risultato di questo appuntamento nei due rami del Parlamento si decideranno probabilmente le sorti del Governo in carica. La vittoria, nonostante le colombe si premoniscano di predire come annunciata, si prevede tutt’altro che scontata. Non fosse altro che per il fatto che, proprio in quest’ultimo periodo di tempo, abbiamo assistito ad una accelerazione dell’avvicinamento dell’Udc di Casini con la neonata formazione Futuro e Libertà che fa capo a Fini. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, il 2 dicembre scorso, si preparerebbero, insieme alle altre forze di centro-sinistra, a non votare la fiducia a Berlusconi.
In effetti stiamo, però, assistendo a due diversi scontri, che vorrei provare ad analizzare meglio, e che coinvolgono diversi attori a vari livelli.
Il primo scontro, più immediato e pressante, si verifica tra due opposte spinte che si sono generate a partire dalla crisi interna al Pdl e che vede contrapposti due schieramenti. Da una parte c’è una componente che possiamo chiamare “di voto”, che preme perché si ricorra alle urne senza nessuna intermediazione. Questa componente vede ovviamente partecipare le forze di centro-sinistra ed una parte del centro. Dall’altra parte c’è una componente che potremmo chiamare “di responsabilità” che invece vorrebbe trovare una via d’uscita che consenta di cambiare la compagine governativa, magari partendo dal premier, ma senza dover richiamare gli italiani ad esprimere il voto, che di fatto sarebbe la fotocopia di quello di due anni fa. Questo perché, senza cambiare anche la legge elettorale (il famigerato “porcellum“) è molto difficile che si possa creare una maggioranza di governo stabile con questa situazione politica.
In realtà queste due componenti non sono scollegate, nel senso che la spinta che c’è verso il voto, specialmente nell’area di centro, è contemporaneamente bilanciata dalla considerazione e dalla volontà di evitarlo a tutti i costi da parte degli stessi parlamentari. Sembrerà strano, ma il problema è simile ad un famoso motto latino: “si vis pacem para bellum”. Ovvero, si minaccia continuamente il ricorso alle urne proprio per esorcizzare tale ratio.
Il secondo dei due scontri, che procede affiancato al precedente, è tra l’attuale maggioranza di governo (sostanzialmente, PDL + Lega) e il nascente terzo polo (sostanzialmente UDC + FLI + API). Uno scontro questa volta politico e non personale. L’area di centro si sta, infatti formalmente compattando – dopo anni di temporeggiamenti e tentennamenti sull’ipotetico “Partito della Nazione” – intorno ad una compagine meno legata agli ambienti cattolici (come poteva essere il solo UDC) e più aperta al mondo dell’imprenditoria e della destra moderata (come anche la discesa in campo di Luca Cordero di Montezemolo farebbe supporre). Una compagine centrista piuttosto variegata, e con un problema di leadership, che in un’ideale panoramica politica va dall’ex formazione della Rosa per l’Italia di Pezzotta, all’Api di Rutelli, passando per il centro di Casini e l’ala cattolica di Bindi e Buttiglione, arrivando infine alla destra di Futuro e Libertà.
Dunque un terzo polo in forte espansione che aggrega voti, volti e consensi, ma che, da solo, è insufficiente a garantire l’espressione di un Governo, e che necessita quindi di un’alleanza quantomeno programmatica, non foss’altro che per una questione di numeri, in grado di esprimere un contributo significativo e non solo annunciato.
Con queste premesse, e con questi “moti”, si sta sviluppando dunque la consapevolezza che procedere nelle prossime settimane in ordine sparso è più controproducente che altro, e che di soluzioni pratiche preferibili, anche in considerazione di alcuni parametri importanti, ce ne sono diverse.
Nel computo della concertazione, infatti, non dobbiamo dimenticare che nella primavera del prossimo anno si terranno le elezioni Amministrative, che riguarderanno molte tra le più importanti regioni italiane. Riorganizzare un voto a pochi mesi da quest’appuntamento sarebbe da irresponsabili perché oltre agli inevitabili scontri politico-elettorali ci sarebbe un aggravio di spesa difficilmente giustificabile. Bisogna decidere, quindi, se andare al voto in concomitanza con le amministrative, o altrimenti creare le condizioni perché ci sia una maggioranza in grado di governare con una certa stabilità, soprattutto in un momento in cui probabilmente il Paese sarà in una difficile fase economica.
Non abbiamo citato il ruolo istituzionale in tutto ciò, del Quirinale. Il ruolo di Napolitano, in ogni passaggio, non può ovviamente che essere di assoluta garanzia per mantenere la piena adesione al dettato della Carta Costituzionale. Questo comportamento “neutrale” del Colle innervosisce sia il centro-sinistra che il centro-destra, ma non potrebbe essere altrimenti in una situazione del genere. Compito del presidente della Repubblica è, infatti, garantire le condizioni di stabilità e di unità nel Paese e di dialogo tra le forze politiche senza preferenze. Il centro-sinistra si ritiene “derubato” di un’occasione ghiotta avvenuta qualche settimana fa in occasione dell’approvazione della Legge di Bilancio dello Stato. Napolitano avrebbe potuto dare una sponda all’opposizione mettendo in difficoltà il Governo su un tema così delicato ma non l’ha fatto, preferendo la stabilità economica. Il suo comportamento è stato assolutamente corretto poiché proprio il tema economico è il più delicato di tutti e ci porta ad affrontare l’ultimo tema di questa nota che a mio avviso è il più importante, ovvero la situazione che si è venuta a creare nei mercato europei sul rischio di default (fallimento) di alcuni Stati, a seguito degli episodi di Grecia e Irlanda.
La prossima “candidata” è il Portogallo. Ma la paura, suffragata da moti speculativi evidenti e da fluttuazioni per nulla rassicuranti, è che la prossima a cadere sarà la Spagna e quando cadrà la Spagna sarà la volta dell’Italia, sia per la comunanza degli ordini di grandezza in gioco, sia per la volontà specifica di colpire i cosiddetti “PIGS” (Portugal, Italy, Greece and Spain), acronimo che significa grosso modo “I Paesi dell’Euro meno forti”, ovvero i bersagli della speculazione.
Tra tutte le questioni che a giudizio dello scrivente avranno più influenza ci sarà la riunione dell’Ecofin, prevista proprio per la settimana “calda”. L’Ecofin è una delle più antiche e importanti riunioni nel contesto degli incontri mensili tra i ministri dell’Unione Europea. Il tema affrontato sarà senza ombra di dubbio la difficile fase nella quale si trovano ora e che si troveranno a breve a dover affrontare le Nazioni europee, e il modo per poterne uscire senza troppi bagni di sangue. Il requisito richiesto, e la principale preoccupazione, è proprio sul versante politico: è a tutti evidente che in una fase tanto delicata e sotto attacco speculativo è necessaria una stabilità politica più che robusta.
Non è un caso, dunque, che siano stati chiamati al Colle per una chiacchierata informale, persone del calibro di Mario Draghi (scuola Gesuitica e membro Aspen, gradito al Pd), piuttosto che Giulio Tremonti (Aspen Institute e Comunione e Liberazione, gradito al Pdl). Sono solo due dei possibili “premier” nel caso che Berlusconi decida di lasciare, insieme a Letta, Pisanu, o a Monti che però più di una volta ha declinato l’offerta.
Da quest’ultimo punto ci ricolleghiamo dunque alla possibile tattica del nuovo centro, intorno al quale gira negli ultimi mesi un vorticoso movimento di alleanze e di contemporanei divorzi più o meno annunciati, ed in particolare al suo elemento più “critico”, ovvero quel Gianfranco Fini che ha sancito di fatto la crisi all’interno della maggioranza. Proprio la riunione dell’Ecofin potrebbe dare a Fini una sponda per poter dichiarare la sua disponibilità ad un governo “di responsabilità”. Da una riunione dalla quale emergesse chiaramente che l’Italia è in una fase economica estremamente delicata e sotto attacco, il centro finiano e con esso quello più generalmente inteso potrebbero “fare un passo indietro per il bene della Nazione” uscendone onorevolmente. A quel punto le possibilità sarebbero due: un Berlusconi bis ma con una compagine di governo diversa, un governo tecnico con un nuovo premier ed alcuni ministri berlusconiani, e così via. Bisogna ricordare che nelle prerogative del Capo dello Stato c’è quella, costituzionalmente sancita, di dover ricercare una possibile maggioranza prima di chiamare il Paese alle urne. Quindi ampie convergenze potrebbero essere molto preferibili al voto, che di fatto nessuno vuole.
In tutto questo, come sempre, spiace vedere un centro-sinistra allo sbando, inesistente e dominato dall’Antiberlusconismo, incapace di progettare un’alternativa o di proporre delle soluzioni reali e costruttive per il bene del Paese. La sua unica “salvezza”, parrebbe essere un’alleanza con il centro di Casini e Fini ma un’alleanza del centro-sinistra con il nuovo centro, proprio per l’estrema diversità di visioni in campo, più che salvezza potrebbe rivelarsi la disfatta di un modello di politica, oltreché uno schiaffo ai cattolici, e finirebbe col procrastinare un ricambio generazionale che da più parti si auspica.
Staremo a vedere.
Per chiudere in modo un po’ più “leggero”, riporto un commento apparso su di un articolo del Corriere della Sera online, che sottolinea il ruolo dispersivo e per nulla utile dei tanti sondaggi, chiacchiere e soprattutto talk show che ultimamente si stanno sostituendo alla politica fatta nel Parlamento:
Secondo gli ultimi sondaggi aggiornati, Fini è al 29%, Casini al 31% e Rutelli è al 12%. Perciò si prevede una lotta tra i tre, per decidere chi comanda tra i due… Si potrebbe fare un partito del 72%, poi si fa fuori Rutelli e siamo al 60%… Poi, si combatte dentro la coalizione ciascuno fa il suo partito.. Per allearsi nuovamente con Berlusconi, che ha intanto recuperato il 5%… Peccato, che nel frattempo, l’Italia sia fallita, e che non la voglia più nessuno, neanche Berlusconi… Ma quante belle discussioni su Annozero e Ballarò!!