Nel bailamme di dichiarazioni di affaristi e ritrattazioni di soubrette, arresti e domiciliari ai Parioli che Vittorio Emanuele vorrebbe scambiare con villa purché dotata di adeguato giardino ove passeggiare, forse passa in secondo piano un particolare significativo in questa tormentata sequenza giudiziaria.
Secondo quanto si apprende dai giornali, infatti, il procuratore capo di Potenza Giuseppe Galante, con una decisa virata di atteggiamento, ha “contestato” al suo pm Woodcock, che nelle fasi iniziali aveva difeso senza problemi, che la procedura da lui tenuta, nello specifico, aver fatto arrestare Vittorio Emanuele senza richiedere la firma del suo procuratore capo, viene considerata una violazione formale. Come tale è stata segnalata al CSM il 20 giugno.
Sempre secondo quanto si legge sul Corriere, quello di richiedere la controfirma, però non era un atto formalmente richiesto, bensì una prassi definita da una circolare, prassi che evidentemente Woodcock non ha ritenuto di dover seguire in questo caso, chiedendo direttamente al gip, Iannuzzi, la convalida dell’arresto. Almeno, non lo era fino al 19 giugno, perché la riforma dell’allora ministro Castelli obbliga invece a richiedere la controfirma del procuratore capo in caso di arresto, ma entra in vigore appunto solo il 19 giugno, mentre l’arresto veniva effettuato il 16.
Ora, le domande che mi pongo sono evidentemente queste: a quanto si può intuire, Woodcock ha ritenuto di dover arrestare Vittorio Emanuele prima che scattasse la riforma della controfirma del procuratore, ma perché? E il procuratore capo, conoscendo questa particolare situazione, perché nella fase iniziale del procedimento ha comunque difeso i suoi pm, ma già dopo i primi interrogatori, ed una volta che le acque si erano abbondantemente mosse, ha dato l’idea di prendere un po’ le distanze dalla procedura usata?
Io la risposta magari la posso anche intuire, ma magari mi sbaglio.