Giuliana Sgrena, la giornalista del quotidiano Manifesto rapita un mese fa in Iraq, è stata liberata, mentre Nicola Calipari, l’agente del Sismi (servizi segreti militari) protagonista del blitz che l’ha liberata, è stato ucciso dal “fuoco amico” americano (una pattuglia che ha crivellato l’auto blindata su cui viaggiavano di colpi) per quello che viene per ora indicato come un “incidente”.
Quanti incidenti, accadono in Iraq.
Trovo al proposito interessante questa intervista:
E’ cosi’, nell’intervista a “Il manifesto”, che Jimmy Massey di Waynesville, piccola comunita’ del North Carolina, ha deciso di strappare il velo di silenzio che avvolge la “nobile missione” in Iraq.
Dimesso dal corpo dei marines per ragioni mediche, ha scritto un diario, “Cowboys from Hell”, che verra’ pubblicato a fine estate.
– Patricia Lombroso: Qual era la sua posizione in Iraq?
– Jimmy Massey: Ero sergente nel terzo battaglione dei marines durante
l’invasione, nella primavera 2003.
– Patricia Lombroso: Quanto tempo ci e’ rimasto?
– Jimmy Massey: Dal 22 marzo al 15 maggio. Quattro mesi d’inferno. Mi hanno dovuto rispedire negli Usa per stressed disorder. E’ il termine usato nel gergo militare per dire che a causa dell’orrore vissuto in guerra sono uscito di senno.
– Patricia Lombroso: E’ stato nei marines per molti anni?
– Jimmy Massey: Per dodici anni.
– Patricia Lombroso: Era mai stato in guerra, prima?
– Jimmy Massey: Mai.
– Patricia Lombroso: Lei ora e’ membro del gruppo “Veterani dell’Iraq contro la guerra”.
– Jimmy Massey: Si’. Mi sono recato in Iraq, inizialmente, con la convinzione di dover eliminare le armi di sterminio di massa. Presto pero’ la mia esperienza di marine mi ha fatto capire che la realta’ era tutt’altra. Eravamo dei “killer cowboy”. Uccidevamo civili innocenti.
– Patricia Lombroso: Lei ammette di aver ucciso civili innocenti?
– Jimmy Massey: Si’. E parecchi.
– Patricia Lombroso: Come e’ avvenuto?
– Jimmy Massey: Vicino alla nostra base a sud di Baghdad abbiamo dato l’assalto, con tutto il mio plotone, a un gruppo di civili che stava svolgendo una manifestazione pacifica. Perche’? Perche’ avevamo udito dei colpi d’arma da fuoco. E’ stato un bagno di sangue. Non c’era neppure l’alibi che quei civili potessero essere impegnati in “attivita’ terroristiche”, come la nostra intelligence voleva farci credere. Abbiamo
ucciso piu’ di trenta persone. Quella e’ stata la prima volta che ho dovuto affrontare l’orrore di avere le mani sporche del sangue di civili.
Bombardata anche con cluster bombs, la gente fuggiva e quando arrivava ai posti di blocco dove stavamo con i convogli armati, le indicazioni che ci dava l’intelligence era di colpire quelli che potevano presumibilmente appartenere a “gruppi terroristici”.
– Patricia Lombroso: E voi cosa facevate?
– Jimmy Massey: Finivamo per massacrare civili innocenti – uomini, donne e bambini. Quando col nostro plotone abbiamo preso il controllo di una stazione radio non facevamo che inviare messaggi propagandistici diretti alla popolazione, invitandola a continuare la sua routine quotidiana, a tenere aperte le scuole. Noi sapevamo invece che gli ordini da eseguire erano di search and destroy, irruzioni armate nelle scuole, negli ospedali, dove potevano nascondersi i “terroristi”. Erano in realta’ trappole tese dalla nostra intelligence, ma noi non dovevamo tener conto delle vite dei civili che avremmo ucciso durante queste missioni.
– Patricia Lombroso: Lei ammette che durante la sua missione ha compiuto esecuzioni di civili innocenti?
– Jimmy Massey: Si’. Anche il mio plotone ha aperto il fuoco contro civili, anch’io ho ucciso innocenti. Sono anch’io un killer.
– Patricia Lombroso: Come ha reagito, dopo queste operazioni, pensando agli innocenti che aveva ucciso?
– Jimmy Massey: Per un po’ sono andato avanti negando a me stesso la realta’ – cioe’ che ero un killer e non un soldato che sa distinguere il giusto dallo sbagliato – poi un giorno, svegliandomi al mattino mi e’ venuto in mente un giovane, miracolosamente scampato al massacro dei passeggeri della sua auto, che urlando mi chiedeva: “Ma perche’ hai ucciso mio fratello?”. Divenne un’ossessione. Persi il controllo del mio equilibrio psichico. Ero incapace di muovermi e parlare, restavo con lo sguardo atterrito, fisso al muro.
– Patricia Lombroso: Che provvedimenti hanno preso i suoi superiori?
– Jimmy Massey: Per tre settimane, in Iraq, sono stato imbottito di antidepressivi, farmaci psicotropi. E’ il loro pronto intervento per questi casi di “stress traumatico”, quando i soldati cadono in preda a questo rifiuto di uccidere.
– Patricia Lombroso: Il vostro addestramento, negli Usa, non vi rende l’unita’ piu’ violenta ed aggressiva utilizzata dal Pentagono?
– Jimmy Massey: Si’. Nel programma denominato boot camp ognuno di noi viene sottoposto a tecniche di “disumanizzazione” e di “desensibilizzazione alla violenza”. Ma a me non hanno mai detto che questo voleva dire uccidere civili innocenti.
– Patricia Lombroso: Tre settimane immobilizzato da antidepressivi in Iraq. E poi?
– Jimmy Massey: Non sapendo piu’ cosa fare mi hanno fatto rientrare. Ora sono disabile, dimesso dall’esercito con honorable discharge.
– Patricia Lombroso: Altri sono nelle sue condizioni?
– Jimmy Massey: Molti. E sono ancora al fronte. Li imbottiscono di antidepressivi e poi li rispediscono a combattere. E’ un problema che ha assunto dimensioni preoccupanti, ma non se ne deve parlare negli ambienti militari. Nel 2004, 31 marines si sono tolti la vita, 85 hanno tentato il suicidio. (…)
Via Botblog
4 thoughts on “Incidenti accadono”
Non c’è più religione. Tu che citi il Manifesto, la Rossanda che in prima pagina rende onore a un agente segreto italiano…
Beh, ma è un’intervista, non un editoriale. 🙂 Sul fatto che si renda onore a Calipari, non fa che rendere onore a chi lo fa (scusa il gioco di parole). In realtà cerco solo di capire, come tutti.
Una piccola precisazione (ma sostanziale, purtroppo): l’auto sulla quale viaggiavano NON era blindata, altrimenti ora avremmo un eroe in meno ed un brav’uomo in più.
IT: questa cosa mi lascia a bocca aperta.
OT: devo un’email a te ed a Francesco 🙂