La scorsa settimana mi è capitato di ascoltare, in un incontro per tutt’altri motivi, un medico che esortava a non avere paura del covid19 in una sorta di congettura pseudo negazionista. Quando ha detto “dittatura politico sanitaria”, ha provocato una mia reazione abbastanza piccata (avendo avuto un lutto in famiglia a causa diretta del covid sono sensibile sull’argomento). Similmente, l’altro giorno ho incontrato uno stimato professionista con idee abbastanza confuse sul virus, derivanti da informazioni altrettanto confuse (una su tutte, la famigerata “ricerca” della dott.ssa Yan).
Due esempi banali, con cui mi sto imbattendo anche nella cerchia più vicina a me: persone che per formazione, cultura, capacità intellettuali o anche solo per esperienza dovrebbero avere le idee chiare su cosa sta succedendo, e invece.
La comunicazione dell’emergenza sembra stia smettendo di funzionare, in una sorta di sfilacciamento generale. O almeno, non è più così efficace.
La pandemia, di fatto, non è cambiata. Il virus è lì, anzi è diventato ancora più aggressivo, il nemico da combattere è lo stesso, dopo l’esile tregua estiva. Sul perché invece si stia cambiando atteggiamento, ci possono essere molte ipotesi. Quello che osservo dal mio snodo, rifacendomi a quel che sento e leggo, è che molti sono stanchi dell’allarmismo, che è poi quello che ha tenuto banco nei social all’inizio: dall’inondazione di dati alla triste conta dei morti e dei ricoverati in terapia intensiva, nella prima ondata l’allarme era giustificato e le misure adottate condivise. Poi, qualcosa è cambiato. Varie tesi alternative hanno iniziato a circolare da una testata all’altra, da una chat all’altra, da un social all’altro, finendo per alimentare i cluster complottisti e cospirazionisti, di cui i social e il web sono traboccanti. Ma questo, si potrebbe pensare, incide “solamente” su chi è facilmente influenzabile, manipolabile o non sa leggere i dati.
Manco per niente, appunto. Anche stimati professionisti e persone non facilmente influenzabili, hanno iniziato a mettere in dubbio qualcosa, bombardati dall’infodemia e da tutta una serie di prese di posizione altamente pericolose. Spesso provenienti da primari d’ospedale o dai virologi stessi, che hanno proseguito una loro lotta di visibilità senza adottare un principio di precauzione comune. O delle scelte di alcuni politici nell’organizzare convegni pseudo negazionisti o “no mask”, contro gli inutili allarmismi.
Qualche giorno fa una seria professionista mi accennava ai suicidi aumentati, dandone in qualche modo la colpa al “clima allarmistico” che si è creato. La sera stessa mi segnalavano un video su SocialTV (un canale alternativo, diciamo così, di informazione) in cui Armando Siri (Lega), ex sottosegretario del ministero dei trasporti nel precedente governo Conte, organizzava un incontro con Maria Rita Gismondi (virologa dell’ospedale Sacco di Milano).
Viene osservato che il numero di questi suicidi è aumentato “a causa del covid”, anche se questa potrebbe essere un’interpretazione arbitraria. Magari è accaduto per un insieme di ragioni pregresse che il covid ha reso probabilmente più drammatiche. Questi tragici eventi potrebbero essere “correlati” al covid – come più appropriatamente dicono gli psichiatri – e non “dovuti” al covid.
E qui vediamo un aspetto interessante della faccenda: quando i dati vengono non da fonti scientifiche (o non solo) ma dai giornali si dà per acquisito che le varie testate siano esenti da bias e distorsioni interpretative. Chi fa il mio mestiere sa che invece una gran parte dei problemi di cattiva informazione viene proprio dai giornali (anche solo dai titoli, che purtroppo sono spesso l’unica cosa letta). Attenzione infatti a ritenere che i brutti e cattivi siano solo i social. È il problema della fonte: perfino le agenzie di stampa – fonte idealmente primaria – non ne sono immuni.
Ora, uscendo un momento dalle interviste che ormai ogni virologo/epidemiologo rilascia in televisione o sedi istituzionali le più varie, quello che mi interessa sottolineare è la narrazione sottostante a questo gigantesco cluster, e cioè che non bisogna/va spaventare così tanto la popolazione. Da questo filone narrativo si snodano diversi altri rami: ‘perché il covid non esiste’ (negazionisti, li cito come esempio), ‘perché il covid non è così pericoloso come dicono’, ma soprattutto perché l’allarmismo continuo crea effetti collaterali sulla salute generale come ansia, depressione, solitudine, disperazione (fino al suicidio nei casi più gravi), per non parlare dei danni economici, reali e misurabili.
È chiaro che una pandemia crea una drammatica esperienza sociale, economica, psicologica, ma più che cercare narrazioni alternative bisognerebbe domandarsi perché i principali paesi del mondo hanno (chi prima chi dopo) attivato tutti l’allarme rosso generale, invece di “tranquillizzare” la popolazione. Basta osservare che chi l’ha fatto, e in particolare mi riferisco al Brasile, gli USA inizialmente, la Gran Bretagna (e poi, ovviamente, alcuni paesi sotto regimi autoritari come Bielorussia, Corea del Nord, ecc.), chi ha sottovalutato il virus tranquillizzando gli animi ha pagato un prezzo altissimo.
In realtà, pochi sono riusciti a bilanciare correttamente l’aspetto dell’organizzazione e della prevenzione con quello della comunicazione, e mi viene in mente solo la Germania, in effetti. Ma c’è un motivo specifico: perché la Merkel è PhD in Fisica, e a inizio pandemia andò a spiegare in tv (e poi l’ha rifatto molte volte, anche recentemente), come si propaga il virus, con che dinamiche, modelli e con quali probabilità di diffusione, e con che conseguenze, naturalmente anche lì con il parere del comitato tecnico scientifico nazionale. E i tedeschi, anche per cultura di popolo, hanno ascoltato e si sono adeguati, limitando i danni – e comunque anche loro hanno avuto pesanti conseguenze in termini di morti e di lockdown, anche se meno di altri.
Purtroppo, nei nostri sfortunati paesi “latini”, il problema comunicativo è molto complesso, e i suggerimenti su come trovare un perfetto equilibrio informativo generalmente arrivano sempre col senno di poi. Senza considerare i danni di una certa comunicazione politica. Basta vedere quello che hanno detto moltissimi esponenti di destra – ça va sans dire – sulle misure eccessive prese in primavera, o sull’inutilità di parlare di “seconda ondata”.
Quello che invece si sa, è che di fronte a una popolazione restìa a prendere le dovute precauzioni e ad ascoltare i suggerimenti delle autorità come quella italiana – e qui viene facile: basti pensare alla differenza che c’è solo da noi tra “è vietato” ed “è severamente vietato” – è necessario procedere con molta cautela ed essere al contempo fermi nelle scelte, connubio non facile. La prova plastica di questo paradigma l’abbiamo potuta vedere in quello che è successo quest’estate: appena si è abbassata la guardia, appena le parole sono state più tranquillizzanti e i toni meno allarmistici, appunto, c’è stato uno sbracamento generale – e il virus ha ripreso a correre all’impazzata a fine agosto.
Però il vero frutto avvelenato che si è dispiegato negli ultimi mesi è la narrazione alternativa, quel senso di sconforto che si prova nel vedere che la “tensione mediatica” concessa all’inizio è andata cambiando, dando forma a ipotesi e teorie che ormai viaggiano indisturbate, come al solito facilitate e potenziate dal modello di propagazione proprio dei social network.
Alla narrazione poi si attaglia il cortocircuito del rancore, al quale non sfuggono purtroppo nemmeno intellettuali e pensatori, prontamente ripresi dai media polarizzati. Un esempio su tutti: un sociologo come Luca Ricolfi (che dai tempi delle Illusioni italiche studia le distorsioni del sentire comune), dà la colpa della seconda ondata al governo… Se è una battuta, non mi fa ridere.
In piena crisi covid e con le piazze in rivolta è legittimo avere dubbi, ma la realtà non consente di abdicare dalla lettura dei dati e dal confronto con i numeri, lasciandosi prendere la mano dall’interpretazione e dal voler individuare un colpevole. Altrimenti il rischio è di imitare la grave irresponsabilità dimostrata da alcuni politici in tutti i mesi della crisi, chi chiedendo elezioni (in piena pandemia), chi negando che fosse grave e passando tutta l’estate a fare show, selfie e comizi senza protezione.
Che le narrazioni alternative, più o meno disinformate o tossiche – quando non apertamente ideologiche – non abbiano solo impatto sulle idee o sullo scontro da social, è dimostrato proprio da ciò che avviene nelle città in questi giorni. Gli slogan “Non ci faremo imporre la dittatura sanitaria”, “questo governo abusivo” e sciocchezze di questo tenore non generano solo scontri verbali nei talk show più o meno virtuali, ma violenza, guerriglia urbana, ulteriori danni economici, quando non conseguenze più gravi: a Roma, Firenze, Napoli, e in altri luoghi.
Nel mentre, chi è sul campo e ha a che fare direttamente tutti i giorni con il nemico invisibile e insidioso, i medici dei reparti covid, non hanno a disposizione molta narrazione, e non usano tanti giri di parole. Venendo pure insultati, adesso.
(ultimo aggiornamento: 02/11/2020 22.50)
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