E così, ho imparato anche questo. Quando una persona molto vicina se ne va, prematuramente, c’è un percorso da compiere, e forse ognuno reagisce a modo suo.
I primi tempi c’e’ stordimento. Sei assente, ti dicono qualcosa e tu non rispondi.
Dopo sopraggiunge l’aggressività: se ti dicono qualcosa, reagisci male. E’ un po’ la fase che sto vivendo ancora adesso, e forse chissà per quanto.
Ma poi, all’improvviso, magari a distanza di un mese e mezzo, arriva la botta: l’assenza. Il vuoto.
Due parole che assumono i contorni delineati da una categoria che prima non avevi mai considerato: gli oggetti. Ecco cosa. Un uomo non dovrebbe mai essere separato dai suoi oggetti. Sono lì, sono lui. Dicono che alcune dittature quando vogliono annientare una persona iniziano a togliergli le cose a lui care: gli oggetti, i ricordi, il suo habitat. Gli oggetti sono una persona, sono il suo mondo, i suoi gesti.
Gli oggetti che tu stai ancora una volta per usare, ed all’improvviso non sono più oggetti ma immagini: vedi la persona scomparsa che li sta usando, come in un flashback. Una porta che si apre, un computer nello studio, perfino un tostapane, adorabile compagno di mattine passate a chiacchierare davanti a un toast caldo.
La macchina di papà è parcheggiata davanti in giardino, è rimasta lì ferma, e non so neanche se si accende ancora. Ogni tanto è come se lo vedessi uscire, col suo cappotto blu, un po’ stanco, con qualche smorfia di dolore, che mi guarda. Io lo guardo dallo studio e dico qualcosa. Lui entra nel suo appartamento e se ne va. Nel suo pensiero io dovevo fare qualcosa, in tutti questi anni, ma ormai è un po’ tardi, effettivamente. E’ tardi in ogni caso.
Il vuoto: quella sensazione che qualcosa non è più al posto suo. C’è uno strapiombo davanti a te e fastidiosamente ti accorgi di non riuscire a vedere più quel ponte che ti consentiva di andare dall’altra parte. Ti inventi una quotidianità, che non c’è. Ti accorgi di stare cercando di riempire quel vuoto con qualcos’altro. Ovviamente non c’é.
Papà avrebbe detto ridendo “Quando cerchi una cosa in questa casa, non la trovi mai!”.
Non c’e’ niente, niente di niente. Solo ricordi.
3 thoughts on “L’elaborazione del lutto”
Si chiude la ferita ma il dolore resta. Col tempo, faticosamente, impari a evitare i movmenti che potrebbero riaprirla. Ma a volte ti distrai e basta una parola, un ricordo improvviso perché la ferita si riapra e dolga, come la prima volta.
Cristina Campo, nelle Lettere a Mita, scriveva del sentimento di sgomento di fronte alle cose che durano più delle persone. Bisogna passarci per capire. Passarci attraverso ed andare oltre.
e’ strano come ci si affidi a qualsiasi cosa per provare a superare il dolore della morte di papa’,anche alle pagine di internet, di un libro, alle altre esperienze, tutto pur di cercare qualcosa che qualcuno, con la sua scomparsa, ti ha portato via….e ho paura, perche sara’ una ricerca che non finira’ mai…e la mia vita non e’ eterna