(questo post nasce come commento al post di Pandemia ma siccome pare ci siano difficolta’ a inserirlo, lo metto qui)
La storia della pubblicita’ che va poco su Internet e’ vecchia. Io ne sento parlare almeno dal 1996 🙂
(si avete letto bene, dieci anni fa si parlava delle stesse cose). Luca dice cose assolutamente condivisibili, ma anche che ho sentito e letto gia’ diverse volte oramai, con una frequenza circa biennale. Speravo che qualcosa fosse cambiato ma…
Le cose in genere stanno cosi’: l’azienda Canistracci Spa (ciao Ubik) ha un budget per la pubblicita’, che poniamo 100. Questo budget deve essere distribuito intelligentemente, in modo da massimizzare il ritorno, in termini di immagine (brand) e di acquisti (o ordini, investimenti, ecc., dipende ovviamente dal tipo di azienda).
Se l’azienda e’ piccola, si decide come spendere il budget pubblicitario per un certo prodotto-o-altro in genere nell’arco di un paio di riunioni. Se l’azienda e’ medio-piccola, si chiama l’esperto marketing. Se l’azienda e’ grande, si chiama la direzione marketing.
Il marketing, da parte sua, non decide sulla base di simpatie o antipatie, ma sulla base dei dati in suo possesso. Al megadirettore della Canistracci, quindi, il rep. marketing stende un dettagliato rapporto nel quale si evince che:
a) Investendo 80 sulla televisione e sui giornali, si avra’ un ritorno di immagine quantificabile in 30 e un aumento di acquisti del prodotto quantificabile in 70.
b) Investendo 10 in volantinaggio si avra’ un ritorno di 20
c) Investendo 10 in Internet si avra’ un ritorno di ‘boh’. Forse 10, forse 5. Il marketing esperto di Internet e’ ancora una merce rara, peraltro.
Il rep. marketing evince queste considerazioni sulla base del fatto che tv e giornali hanno un ritorno quantificabile: si sa chi guarda, si sa chi legge, si sa chi compra. In Internet la massa fluttuante e’ ancora poco distinta (non nel senso di inelegante, ma poco segmentata per settori di popolazione)
Dopo alcune riunioni col marketing, la direzione della Canistracci ha tra l’altro la chiara sensazione che investire su Internet sia un po’ come regalare i soldi a qualcuno. Forse, potrebbe esserci un ritorno nel brand. Ma forse. Quasi certamente, non negli acquisti (l’ecommerce in Italia e’ ancora ai primordi e se l’azienda non ha una specializzazione solo in quel settore, son piu’ le spese che altro). Quindi, se proprio si devono regalare soldi a qualcuno, la Canistracci decide di regalarli ad aziende note, che magari sono amiche, che tendenzialmente ricambieranno anche il favore. Un articolo positivo sul tal prodotto non si negherà dunque al bravo inserzionista che permette all’azienda di far quadrare i conti. Uno sconto su qualche servizio men che meno.
In questo contesto arriva un’azienda ‘Web 2.0’ e dice alla Canistracci ‘noi siamo belli bravi e buoni, e siamo pochi, facciamo il web collaborativo in cui qualsiasi cliente pubblicamente puo’ parlare bene o male dei tuoi prodotti su Internet a seconda che funzionino, di come si sveglia, e di quel che ha letto su altri siti, anzi noi lo incentiviamo. Ah comunque non ti assicuriamo nessun appoggio, neanche indirettamente, anzi i dipendenti hanno un blog in cui ognuno puo’ mandarti a cagare singolarmente o nei commenti, oppure incrociatamente con i trackback’.
A questo punto il direttore della Canistracci sara’ felicissimo, non di investire su di voi, ma di mandarvi a quel blog…:)
A parte gli scherzi, da un punto di vista dei freddi numeri, sembra chiaro perché ci siano ancora grossi problemi negli investimenti su Internet: se già nel Web1.0 la torta pubblicitaria si spartisce tra pochi, e le aziende investono col contagocce timorose di buttare i soldi, il ‘Web2.0′ rappresenta quanto di più inattraente possa esserci per un inserzionista, anche il più bendisposto. Mi sembra difficile che qualcuno diverso dal gigante Google (con la complessa struttura di Adsense e delle Adwords) possa farci pubblicità, ma saro’ lieto di essere smentito.