(il post è stato aggiornato il 19/10/2009 15:02)
Si è svolto a fine Settembre, dopo un’adeguata preparazione, il tradizionale evento dei Macchianera Blog Awards.
“La rete boccia il blog di Beppe Grillo“, insieme ad un altro articolo del Corriere riporta i nomi dei vincitori di alcune delle categorie dei blog.
Altri
titoli del genere compaiono spesso nei giornali italiani che, ahimè,
sembrano sempre adeguatamente lontani dalla realtà della rete.
I
votanti ai Macchianera Blog Awards, infatti, non sono “la rete”. E lo
scrivo con tutta la stima che posso avere per le persone che vi
partecipano. Quella, infatti, è una “parte della rete”. Una parte di
rete che ha delle caratteristiche piuttosto omogenee. Non ci
interessano tanto queste caratteristiche. Ci interessa sottolineare che
è un sottinsieme.
A me Gianluca Neri,
con il quale pur non condividendo le idee mi accomuna una passione per
la telematica (la sua evidentemente molto più forte), sta simpatico, mi
invita tutti gli anni alla Blogfest insieme agli amici ed i colleghi di
blog che condividono lo spirito libero ed aperto del Web.
Molti di quelli che frequento sulla rete, sui social network,
etc., non hanno votato però ai Macchianera Awards e soprattutto non sanno
neanche cosa sono.
Questo perché?
Gianluca è un bravissimo organizzatore. Io non sono potuto andare alla
Blogfest, ma ho letto dalle impresioni degli altri il grande successo
ottenuto dalla manifestazione. La Blogfest, splendida occasione di
incontro e di divertimento, non è tanto “politicizzata” quanto i Blog Awards stessi.
Sì, è vero che Repubblica ne ha fatto una fotogallery
e l’ha messa in prima pagina, mentre il Corriere si ilimita a ricordarne
con un articolo alcuni vincitori; è anche vero che ne ha parlato Neapolis (Rai Tre), però vorrei evitare di darne una connotazione che ho inserito volutamente tra virgolette e che forse i quotidiani implicano.
Gianluca ha sicuramente il merito di aver tolto lo scettro di “premio Internet” al Premio WWW del
Sole 24 ore, che come ricorderanno molti, risente in qualche modo della
linea editoriale della testata, pur portandone in dote l’autorevolezza
e la spendibilità.
Tuttavia l’impressione è che, nel tentativo, non sia riuscito ad aumentare di molto la rappresentatività dell’iniziativa, limitandosi a
spostare la scelta da una linea editoriale ad orientamento commerciale ad una di tipo ideologica. Di fatto,
siamo ancora lontani da una votazione che abbia un
campione omogeneo della “popolazione” del Web, pur palesando un netto miglioramento come numeri ed incisività rispetto alle passate edizioni, un merito indiscusso di Neri.
Ciò premesso, vorrei fare alcune osservazioni come cattolico sull’andamento del premio, considerazioni estendibili anche alle passate edizioni. Nelle categorie meno tecniche e un po’ più filosofiche del premio, a vincere è stato soprattutto un sentimento anticlericale, a partire dal vincitore assoluto, quel Spinoza
il quale oltre che filosofo olandese del ‘600, esponente del
razionalismo e precursore dell’Illuminismo, è anche il titolo
di un blog davvero intrigante nei suoi aforismi, ma che, insieme ad alcuni vignettisti ed altri autori di successo (tra cui Paul the Wine Guy, che ha chiuso il blog dopo la premiazione, e Leonardo), fa dello spregio alla cultura cristiana una delle sue cifre.
Dunque orientamenti chiaramente anticattolici. È un dato importante? Per quelli che votano forse no. Ma per chi osserva da fuori si.
Perché non
è la rete ad apparire anticlericale, ma le persone che ne fanno un
utilizzo più sociale. Questo significa che esse rappresentano tutti?
Ovviamente no. Ma hanno un indicatore in comune: un’ideologia anticristiana che appare chiusa, quando non ostile, ad ogni confronto. Allora come cristiano sono portato ad interrogarmi, sulla distribuzione, sull’importanza e sulla diffusione di tale sentimento sulla rete, perché è in qualche modo condiviso ed accettato da
questa parte che più è attiva e propositiva nell’ambiente
telematico e nel mondo della comunicazione.
Va riscontrato, nei fatti, che questo “sottinsieme di pensiero” non rispecchia però la reale distribuzione di idee, di valori e di dialogo del popolo della rete.
In Facebook, ad esempio, che
attualmente è il social network più diffuso in Italia (e nel mondo
occidentale), vediamo che sono attivi molti altri orientamenti di
pensiero, e ci sono gruppi e iniziative cattoliche molto diffuse (ecco
dunque il merito di strumenti come questo, che non tutti colgono, almeno a giudicare dalle obiezioni che continuamente mi arrivano sulla sua presunta utilità). Proprio per la trasversalità dei profili che contiene, che si deduce anche da una recente inchiesta dell’Espresso, il network “Italy” di Facebook sarebbe, ad esempio, un
campione molto più rappresentativo per eventuali “Blog Awards” nostrani.
Ma anche nel mondo dei blog, anzi soprattutto in quello, vi è una tale e diversa distribuzione che viene da chiedersi come sia possibile identificare la rete cogliendo solamente le spinte ideologiche che vengono da una sua parte: basti per tutti una visita al sito (in inglese) di Vultus Christi e visitare qualche link (anche in italiano) per rendersi conto della fitta trama di dialogo e di contenuti, alcuni davvero molto profondi, che si dipana intorno ai temi cattolici nella rete.
Ma allora bisogna svalutare questa iniziativa dei Blog Awards? Assolutamente
no. Va riportata, però, nella dimensione che le è propria.
Chi
vota rappresentano un
orientamento, e senza per forza volerlo politicizzare, possiamo però delinearne
alcuni tratti comuni, di cui la diffidenza verso il mondo cattolico e le sue idee
ne è forse il più evidente.
Questa
non è una storia nuova, ma mentre a differenza di altre realtà di rete,
stiamo sfatando un mito: che i cattolici abbiano un qualche influenza.
Basta scorrere i blog di tendenza (vedere l’elenco a partire proprio
dai vincitori).
Ecco forse allora è questo il
problema. Il bravo Gianluca organizza e promuove un preciso ambito
culturale e politico, e si muove in quell’ambito. Ma gli altri stanno a
guardare. E alla fine si legge che la “rete” la pensa in un modo o in
un altro.
5 thoughts on “Il popolo della rete e le sue etichettature”
Carissimo Luciano, trovo pienamente condivisibile il tuo post. Leggo anch’io Macchianera e continuo a trovare poche persone che, come te, sappiano affrontare la critica ragionata allo schieramento de facto cui si assiste ormai da anni nella blogosfera di temi sovraccarichi di ideologia di sinistra, e di greve vilipendio della cultura e della fede cristiana. Continua così!
Saluti
Leonardo
Caro Leonardo, ti ringrazio. Comunque non è che io faccia una critica ragionata alle idee che siano anticristiane o altro: ognuno è libero di esprimere la propria opinione in rete come altrove. Io cerc di chiarire soltanto che si tende ad identificare “la rete” con “queste idee”, e questo è sbagliato, oltre che scorretto.
Comunicazione e dialogo nel rispetto reciproco.
Parto del presupposto che per dialogare bisogna essere almeno in due e per costruire anche.
Difatti non si costruisce mai per sé stessi, ma per vivere insieme agli altri. Diversamente il mondo non esisterebbe neppure.
Il mondo è l’insieme di singolarità e la società l’insieme di persone.
Il contrasto che tu manifesti forse si basa su un vizio di fondo: queste persone che si fronteggiano su sponde opposte vogliono veramente dialogare? Oppure vogliono imporre il loro solo modo di vedere asserragliate nel loro integralismo o fondamentalismo ideologico?
Perché, se così è, allora ognuna vive nel suo mondo da bolla di sapone, da dove si può vedere da un solo punto particolare di osservazione, ma non dialogare. Si fa del semplice qualunquismo.
E non si va dove si vuole, ma dove il vento dell’esteriorità ti porta.
E se la bolla scoppia si cade malamente a terra.
Negli anni mi è capitato talora di essere oggetto di attacco, da chi non voleva dialogare. Però il fatto stesso che mi si attaccasse era implicito che senza dialogo si volesse fare la guerra.
E per fare la guerra bisogna sempre essere almeno in due.
Come si risolve l’inghippo? Semplicemente scendendo nell’arena e non rispondendo con l’insulto, ma con il ragionamento che, basandosi sul “dire” altrui, lo demolisce nel suo evolversi discorsivo. Si dimostra alla controparte che o ha torto, oppure che bisogna trovare insieme un modus vivendi, perciò un punto d’incontro per dialogare.
E per dialogare si accetta di analizzare un costruire insieme.
E se l’altro non accetta è ovvio che batta in … ritirata.
La Rete è globalizzata; ma non per questo personalizzata. L’individuo, infatti, è come se vivesse in una bolla di sapone: una delle tante indipendenti che formano un Social network. E, strano a dirsi, i più noti, come Facebook, sono dei contenitori trasparenti dove l’individuo, di norma, si mette in mostra, proprio, talora, come la peripatetica nelle vetrinette della Frauenstrasse di Amburgo.
Si mette in mostra perché vuole apparire. È tutto da dimostrare che l’apparire combaci con l’essere.
E spesso, come la peripatetica di Amburgo, mostra di sé stesso o la necessità del bisogno, oppure la degradazione dell’essere persona.
Come è pure da dimostrare che il suo apparire non abbia o un fine politico, oppure generalmente sociale; ma, allora, si è lì per comunicare e dialogare.
Si commercializza la persona e la si ritiene un oggetto che si può vendere; e come si vende l’esteriorità di sé stesso (perché nessuno accetterebbe d’essere uno schiavo), si vende anche ciò che si ritiene l’altro possa essere: un imbecille o nella fede o nel razionalismo agnostico.
La Rete, per costoro, non diventa più un mezzo di comunicazione, perciò di collaborazione, ma semplicemente un pleonastico modo di essere: l’apparire per … esistere. Si costruisce un costume che avvalora o deprezza: una maschera fittizia.
Ciò lo si può recepire anche nei commenti che si possono leggere sui vari blog ai vari post, assai stringati o sbrigativi; mai, se non in pochi casi, profondi o aggiuntivi.
Si rinuncia in pratica a comunicare, limitandosi all’osservare, all’assentire o al denegare: ci si schiera.
Chi declama senza discutere è sicuro del proprio modo di essere? Oppure con il conclamare ciò che ritiene la propria verità non accetta di discuterne perché non ha la base per supportare il proprio credere?
E il cristiano, nel professare il proprio integralismo o fondamentalismo basato su dei cliché preconcetti, nel non accettare di discutere dimostra che il suo credere è “fittizio”, anche se la sua importanza sociale, nella comunità o nella chiesa, può essere elevata. Non è su base solida.
Perché l’amare, per un cristiano, è basilare; senza di che il procedere diventa un fatto puramente egoistico di comodo.
E l’amare è il mettersi, se vi è necessità, a disposizione di chiunque, anche di chi non condivide e ci contrasta (Lc. 6,27) in qualsiasi campo.
La Rete è anticlericale? Come in ogni società, virtuale o reale, vi sono idioti, saggi, acculturati o … “accolturati” (coltivati).
E questi ultimi sono proprio quelli che non accettano di discutere perché la loro ideologia, se mai ce l’hanno cosciente, è basata sul materialismo, perciò su quell’utilitarismo individualista egocentrico che pone la preminenza e la centralità del proprio “Io” esistente sull’Io essente altrui.
È un “Io arcaico” che difficilmente può aprirsi a divenire “Io maturo”.
Proprio uno di quei “processi limbici” dell’amigdala, che alcune frange dello scientismo materialista innalza, impropriamente, quale libertà progressista da conquistare e recepire.
La dicotomia credente/agnostico non esclude il confronto e il vivere civile nell’essere società; anzi: lo impone.
Ciò non significa anteporre il proprio credere all’altrui, ma il rispecchiare nell’altro la necessità del vivere pacificamente insieme nel rispetto reciproco.
Perché se non vi è rispetto non vi è parità sociale, ma solo la iattanza dell’essere secondo la legge della giungla, sia che si conclami una razionalità, sia che si avvalori la propria fede.
Ed allora la socialità che si intende proporre (imporre) è una di quelle cause che arrecano poi danni a tutta la società, virtuale o reale che sia, facendo di tutta l’erba un fascio.
Un semplice qualunquismo generalizzato che esclude il dialogo già nella sua genesi.
Grazie dell’ospitalità.
Sam Cardell
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