Il social, prima del voto per le europee, ha abbattuto 77 pagine: l’Ong Avaaz spiega perché «il suo sistema ha dei limiti»
di Martina Pennisi e Chiara Severgnini
[Rassegna Stampa]
Era il novembre del 2017. Un anno esatto da quell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca che ha fatto piombare sui social network l’accusa (quasi letale) di diffondere disinformazione. La testata Usa Buzzfeed irruppe nel dibattito italiano segnalando pagine Facebook che — secondo la sua indagine — pubblicavano fake news o contenuti razzisti. Il social reagì eliminandone alcune, ree di aver non aver rispettato le sue policy. Un anno e mezzo dopo, a pochi giorni dalle elezioni europee, alcune pagine che rimandano ai siti della società Web365 scovata da Buzzfeed non solo sono ancora attive, ma sono sopravvissute a un’ulteriore segnalazione: quella della Ong Avaaz, che ha consegnato a Menlo Park una mappa di più di 500 pagine europee «sospette» e capaci di generare 67 milioni di interazioni in tre mesi.
Prima del voto Facebook ne ha abbattute 77. Ventitrè erano italiane e riconducibili all’insieme di reti — quattordici — più numeroso di tutto il Vecchio Continente. L’ong ha sottolineato subito come non fossero che la punta dell’iceberg: quello che Avaaz definisce il «network della disinformazione» in Italia è composto da 104 pagine e 6 gruppi che, insieme, raggiungono 18,2 milioni di utenti. Come detto, tutto fa capo a 14 reti di pagine che, dietro a nomi diversi, celano interessi e amministratori identici. Queste reti sono gestite da persone che orchestrano la condivisione degli stessi contenuti su account diversi per massimizzare la loro visibilità. E, in alcuni casi, anche i profitti: se gli account indirizzano a siti esterni a Facebook, spesso l’obiettivo è guadagnare attraverso le inserzioni pubblicitarie. Un esempio? Tra quelle segnalate ci sono quattro pagine che linkano articoli del sito www.mag24.es. In totale questi account «piacciono» a quasi 600mila persone: chissà quante, ogni giorno, sono indotte a visitare il sito — complici i titoli acchiappaclic — finendo con l’aumentarne il rendimento.
E poi ci sono le pagine che hanno un movente politico. Quelle filo-M5S — rigorosamente non ufficiali — sono numerose e diffondono tutte gli stessi contenuti: immagini con scritte d’impatto per attaccare gli avversari politici o foto celebrative di questo o quel successo (vero o presunto) dei 5 Stelle. L’obiettivo qui non è attirare clic su un sito, ma fare da cassa di risonanza per la propaganda di un’area politica. Cosa di per sé lecita, ma che in certi casi è fatta con metodi e toni contrari alle regole della piattaforma: incitamento all’odio, spam o cambio del nome senza che chi era già iscritto ne fosse a conoscenza, tutte cose che Facebook punisce con l’eliminazione (mentre nel caso di pagine che diffondono notizie false si limita a ridurre la visibilità).
Non succede solo nel mondo grillino, anzi: nel report di Avaaz si cita anche un vasto network di disinformazione filo-leghista, di cui faceva parte anche la pagina (ora rimossa) «Lega Salvini Premier Santa Teresa di Riva», che ha dato in pasto ai suoi 16mila follower un video in cui si vedono dei migranti distruggere un’auto dei Carabinieri: la scena, spacciata come un fatto di cronaca, è in realtà tratta da un film. Poi ci sono i network di estrema destra che condividono un flusso ininterrotto di notizie false o esagerate, complottiste o, nei casi peggiori, razziste.
Da questa panoramica sembra mancare un’intera area politica: quella di centro e in particolare di centrosinistra. «In Francia – conferma Luca Nicotra di Avaaz Italia – abbiamo individuato fake news di ogni schieramento, sinistra inclusa, in Italia no». E aggiunge: «Le fake news hanno un taglio editoriale anti-sistema». Dunque possono rivelarsi funzionali solo alla propaganda di chi sta agli estremi dello spettro politico o ha posizioni anti-establishment. Secondo Nicotra la rete social oggi più grande attiva in Italia è quella di area leghista: «Sommando pagine ufficiali, pagine lecite dei supporter e pagine che usano strategie illecite, la Lega ha un bacino social enorme, che per quantità di interazioni supera tutti i partiti socialisti europei». «L’esistenza di reti social di disinformazione», prosegue Nicotra, «gonfia a dismisura un certo tipo di dibattito pubblico». La proposta di Avaaz a Facebook per arginare il problema è duplice: da un lato, chiudere gli account falsi o che usano tecniche vietate — come sta facendo — dall’altro intervenire più nettamente sulle fake news lavorando insieme con chi fa fact checking (per esempio inviando una notifica agli utenti che hanno visualizzato una notizia poi riconosciuta come falsa).
Perché non si riesce a silenziare le reti una volta per tutte? «Facebook reagisce positivamente alle nostre segnalazioni», risponde Nicotra, sottolineando come nel report siano state elencate solo le violazioni eclatanti, e non le zone grigie all’interno delle quali non è auspicabile rendere il social arbitro della verità, «ma il suo sistema – spiega – ha dei limiti. Non contempla per esempio il concetto di “rete di pagine”. Facebook si limita a chiudere quelle che individualmente violano la policy, ma non basta». La conferma sta nel fatto che molte delle reti oggi al centro del report di Avaaz sono note da tempo. Alcune sono state affiancate da attività parallele. Ad esempio: oggi Web365 gode dei rilanci delle pagine che condividono i contenuti dei siti di Planet Share srl (e il dominio di planetshare.it, oggi offline, risulta registrato proprio dalla Web365). Questo mostro a due teste può fare affidamento su almeno dieci pagine ancora attive. Chiuderne una è come tagliare una delle teste della mitologica idra: inutile.
Avaaz, fondata nel 2007, è una Ong che si occupa di promuovere raccolte firme e fare lobbying su temi che spaziano dalla lotta al climate change alla tutela dei diritti umani. Il report sulla disinformazione in Europa è il frutto di un lavoro avviato da Avaaz in gennaio e reso possibile da una raccolta fondi cui hanno aderito 47mila persone (la maggior parte delle quali ha donato cifre inferiori ai 30 euro). Il punto di partenza sono state le segnalazioni di fake news fatte dai fact checker, ma anche dai cittadini europei (che potevano inviarle tramite una hotline su WhatsApp o una piattaforma web allestita ad hoc). Oltre al team europeo di Avaaz, al report hanno lavorato 30 persone tra ricercatori e analisti di dati.
Fonte: Corriere della Sera, 4 giugno 2019.