A quanto pare non c'è di che stare molto tranquilli.
Scienziati Usa: trucchiamo le ricerche
L’ammissione degli scienziati nei laboratori Usa. «Progetti modificati senza rispettare le regole etiche»
Non si tratta di grandi frodi scientifiche come l’«invenzione» dei misteriosi raggi N emessi dal corpo umano, proposta da René Blondot nel 1903 o la questione dei topi dipinti da William Summerlin che voleva così provare la possibilità di trapianti fra specie diverse, oppure lo scandalo che aveva coinvolto David Baltimore, nientemeno che un premio Nobel (l’aveva ricevuto nel 1975 con Renato Dulbecco), accusato qualche anno fa, insieme con la sua assistente Thereza Imanishi Kari, di avere pubblicato dati falsi. Niente di così vistoso, ma tante piccole «correzioni» che molti ricercatori ora confessano di apportare ai loro lavori e che rischiano di minare la credibilità e l'integrità della scienza stessa. Quella americana in particolare, dal momento che l’indagine nel mondo dei laboratori è stata condotta proprio negli Stati Uniti dalla Health Partners Research Foundation di Minneapolis.
L'ETICA - Brian Martisson, Melissa Andersson e Raymond de Vries, tre universitari americani specializzati in etica, hanno posto domande sulla correttezza delle loro ricerche a decine di ricercatori, più o meno giovani, il cui lavoro era finanziato dai National Institutes of Health, un’istituzione di ricerca pubblica. Moltissimi, fra i 3.247 che hanno riposto, hanno dichiarato di avere, in qualche misura, truccato le ricerche. Almeno un terzo ha ammesso di non avere rispettato certe regole etiche negli studi clinici, quelli che coinvolgono i malati, o di aver «coperto» colleghi che utilizzavano dati falsi, o di avere proposto interpretazioni non corrette dei dati stessi. Soltanto una piccolissima percentuale, lo 0,3%, ha confessato di avere completamente falsificato uno studio o di avere copiato un lavoro da altri. Ma un buon 15% ha dichiarato di avere modificato il progetto, la metodologia o i risultati per la pressione degli sponsor commerciali. Un altro 15% ha rivelato di avere modificato i risultati perché istintivamente non li giudicava veritieri. E oltre il 27% ha detto di non tenere una documentazione dei progetti di ricerca.
PUBBLICA O MUORI - In America circola un detto nel mondo scientifico: publish or perish , pubblica o perisci. Perché è una questione di visibilità per i ricercatori che vengono contesi dalle università. E una questione di finanziamenti. Chi produce risultati di ricerca e li comunica alla comunità scientifica attraverso le riviste può sperare in un supporto finanziario, sia pubblico che privato. Ecco perché la lotta fra i gruppi è serratissima e, a questo punto, non sembra escludere nemmeno i colpi bassi.
(di Adriana Bazzi)
(dal Corriere della Sera del 14 giugno)
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