(Il post è stato aggiornato dopo la pubblicazione)
(foto: l’algido ed inetto – dal punto di vista comunicativo – ex ad di Volkswagen M. Winterkorn)
Premessa
I diesel hanno fatto passi da gigante negli ultimi dieci anni, soprattutto dalla direttiva euro4 in poi.
Basta vedere per strada una Ford Focus Tdci, o una Mercedes Cdi, o ancora una Bravo Jtd dei primi anni 2000, per citare solo alcuni dei modelli più diffusi di turbodiesel ante-euro4: spesso fanno fumo nero dallo scarico, in determinate occasioni come le accelerazioni o le decelerazioni. E poi osservare un diesel di ultima generazione – euro5, che circolano dal 2009, se non si vuole prendere un euro6: nessuna sbuffata nera, ma soprattutto, rispetto ad un’euro3 l’abbattimento delle emissioni inquinanti è superiore all’80%: un abisso. La differenza è ancora più evidente nei piccoli centri, dove non c’è stato, come ad esempio a Roma (quando era sindaco Veltroni) il divieto di circolare introdotto per le auto più inquinanti. A volte quando vado nei paesi e nelle città più piccole, mi stupisco di come lascino ancora girare diesel che inquinano più di 10 furgoncini ante euro! Per non parlare dei pullman, ma qui andiamo fuori tema..
I motori diesel – per costituzione – sono ben più efficienti dei motori a benzina (è il motivo per cui, tra l’altro, consumano meno dei benzina): i turbodiesel di ultima generazione o comunque ben progettati possono arrivare ad un rendimento fino al 37-38%, mentre i migliori motori a benzina non superano il 26-27%. Il rendimento è la quantità di energia fornita dal carburante che è convertita in moto effettivo: il resto si trasforma in calore (attriti, sprechi, ecc.). Quindi: in un motore a benzina, 3/4 dell’energia finisce in calore (parte del quale va peraltro smaltito per non bloccare il motore stesso, attraverso il raffreddamento, che richiede energia) e solo il restante quarto è quello che viene effettivamente usato per muovere l’auto.
Gli inquinanti
Il problema è che il diesel inquina intrinsecamente di più rispetto ai motori a benzina, prima col famigerato particolato, che può essere di dimensioni piccole (PM10, il nerofumo), ma anche piccolissime (il temibile PM2,5 – particolato fine con diametro inferiore a 2,5 µm, un quarto di centesimo di millimetro, o il PM1, con diametro inferiore a 1 µm) le più insidiose per i polmoni. Poi c’è il problema degli Ossidi di azoto (NOx), principale motivo dello scandalo “dieselgate Volkswagen” di questi giorni.
Per ossidi di azoto si intende generalmente l’insieme di ossido e biossido di azoto anche se in realtà costituiscono una miscela più complessa, vedi in tabella 1.
(fonte Ministero dell’Ambiente)
Composto | Formula |
---|---|
Ossido di diazoto | N2O |
Ossido di azoto | N2O |
Triossido di diazoto (Anidride nitrosa) | N2O3 |
Biossido di azoto | NO2 |
Tetrossido di diazoto | N2O4 |
Pentossido di diazoto (Anidride nitrica) | N2O5 |
Il monossido di azoto si forma in qualsiasi combustione ad elevata temperatura, insieme ad una piccola percentuale di biossido (circa il 5% del totale).
Le più grandi quantità di ossidi di azoto vengono emesse da processi di combustione civili ed industriali e dai trasporti autoveicolari (l’ossido rappresenta il 95% del totale) anche se ne esiste una quantità di origine naturale (fulmini, incendi, eruzioni vulcaniche ed azione di alcuni batteri presenti nel suolo).
Rimanendo all’auto, gli NOx vengono in realtà emessi da tutti i motori a combustione interna, ma in particolare la loro emissione è critica nei motori diesel perché per il loro funzionamento con miscela magra questi ossidi non posso essere abbattuti con il normale catalizzatore ma richiedono un apparato specifico (ad oggi di due tipi: ad accumulo, più economico, che va pulito di frequente, e “SCR”, più efficiente ma più costoso e complesso, che comporta un sistema di iniezione a monte del catalizzatore e di un additivo a base di urea, ad es. AdBlue)
Problema. Le limitazioni NOx sono molto più severe negli USA: i limiti lì sono del 50% più bassi rispetto a quelli europei (e già da noi sono abbastanza gravosi). Senza entrare troppo nel merito della questione, la sostanza del discorso è questa: per rendere i motori diesel “estremamente puliti” serve così tanta complicazione costruttiva che quasi diventa un arte da orologiaio rimanere dentro le specifiche di inquinamento imposte dai singoli stati. Basta un niente per starne fuori.
La cosa è resa più complessa dal fatto, concomitante, che i diesel degli ultimi anni hanno fatto passi da gigante anche a livello di potenza: un 2.0 turbodiesel di 15 anni fa arrivava si e no a 115 cavalli stiratissimi e fumanti mentre oggi veleggia intorno ai 150-180 cavalli senza uno sbuffo e con un consumo reale tra i 14 e i 18 km/l. Impensabile fino a pochi anni fa. Ma insieme a tanta potenza e tanta efficienza c’è, appunto, un’estrema complicazione; e le emissioni allo scarico sono diventate parte del problema. Allora forse in qualche passaggio qualcuno ha pensato di fare il furbo per non rischiare di mandare in fumo (…) il lavoro di ricerca fatto in tanti anni, e ha sbagliato. Lo scandalo di Volkswagen è partito da lì, e riguarda principalmente il motore 2.0 TDI, codice EA189, (anche 1.6) estremamente diffuso sui modelli della marca dal 2008 al 2013.
I consumi
Il problema, poi, è che i consumi dichiarati nei cicli di omologazione sono inferiori ai consumi reali: basta leggere qualsiasi prova su strada di Quattroruote per vederlo ma anche chi guida tutti i giorni la propria auto se ne rende conto. Questo perché il ciclo di consumo in omologazione è un ciclo blando, fatto sui rulli, con un modello base, con ruote di larghezza minima consentita, clima spento, servizi spenti, ecc. Un ciclo di consumo in condizioni d’uso reali con giro su strada darebbe (e dà, infatti), risultati molto differenti. Basterebbe già solamente che non fosse fatto sui rulli ma in condizioni reali di utilizzo. E infatti dal 2016 nell’Unione europea cambieranno i cicli di omologazione che includono sia gli inquinanti sia i consumi, con dei test diversi dagli attuali, mantenendo la standardizzazione necessaria.
Fino a qui abbiamo parlato dei “classici” motori a combustione interna. Abbiamo visto pregi e difetti dei diesel, cercando di evidenziare che comunque il progresso tecnico di questi anni è stato talmente grande da ridurre enormemente sia gli inquinanti sia i consumi medi, aumentando contemporaneamente le prestazioni. Anche i motori a benzina hanno beneficiato di progressi simili, con l’adozione dei piccoli turbo che consentono di diminuire la cilindrata (il famoso downsizing) e quindi avere minori consumi e di aumentare le prestazioni dei motori, soprattutto ai bassi regimi, con un buon valore di coppia, che sono le cose più importanti nella guida di tutti i giorni.
Vediamo le alternative.
A – Le Elettriche
Il diesel è un motore efficiente, ma come abbiamo visto, intrinsecamente molto inquinante. Il benzina lo è meno, ma comunque inquina.
Tuttavia, sostituire tout court, come alcuni sostengono, i motori attuali con motori elettrici, è velleitario. Per diversi motivi:
1) La distribuzione. Non ci sono le strutture per la ricarica diffuse come per i carburanti. Con un programma pluriennale e standardizzato a livello sovrannazionale, potrebbe essere possibile convertire ed usare parte della rete elettrica esistente per creare delle colonnine di ricarica diffuse. Ma comunque ci vogliono anni. E non è neanche pensabile di usare il contatore domestico per caricare tutte le notti la propria auto. Non è un cellulare, e la bolletta ne risentirebbe. Ci sono dei contratti specifici che si possono stabilire con Enel per montare prese speciali ad alto amperaggio, e allora il discorso cambia, ma i costi sono ancora alti (potrebbe convenire, invece, a chi ha impianti fotovoltaici in casa che producono elettricità in sovrappiù).
2) Scarsa autonomia. Attualmente l’autonomia media di un auto elettrica è di circa 200-250 chilometri nella migliore delle ipotesi e con una guida economica. Troppo poco per stare tranquilli: e infatti anche la più avanzata delle auto elettriche attualmente vendute, la BMW i3, ha come optional il range extender ovvero un piccolo motore tricilindrico a benzina che si attiva nel caso serva ricaricare la batteria.
3) Sono più costose. Paradossalmente proprio l’ottimizzazione e l’efficienza raggiunta dalle auto “normali” le rende acquistabili a prezzi concorrenziali. Un’auto elettrica pura come la suddetta BMW i3 può arrivare a costare il doppio o addirittura il triplo di un’auto di classe media paragonabile. Di fatto, in mancanza di robusti incentivi statali, non è economicamente conveniente (ovvero, non raggiunge il punto di pareggio con le altre auto) l’elettrica rispetto alle altre pari di gamma. Il caso di riferimento in tal senso è quello di Renault, che da qualche anno ha sviluppato una gamma di auto elettriche pure (alcune partendo da un foglio bianco come la Zoe, ad esempio) che, però, non ha riscontrato i risultati di vendita sperati.
4) Inquinano meno? Loro sì, ma la produzione di energia per ricaricare le batterie proviene ancora in maggioranza da carburanti fossili e da centrali nucleari, che sono entrambi tra i peggiori e più inquinanti metodi attualmente in uso per produrre energia. Il che rende il conto in perdita. Cioè alla fine della fiera non è che usando elettricità per ricaricare la tua auto invece di un pieno di benzina, hai aiutato molto l’ambiente, perché quelle energie vengono prodotte in modo identicamente inquinante. Lo hai aiutato, un pochino, perché inquini meno tu allo scarico. (ma se vicino a te c’è un simpatico signore con un’Alfa 1.9 turbodiesel e centralina modificata che quando parte crea una nuvola nera, ti ci vorranno dieci anni di guida ibrida per riequilibrare il conto..)
A parte le battute… Le elettriche sono sicuramente nel futuro dell’automobile, ma non col sistema di produzione dell’energia che c’è oggi.
La soluzione è far generare l’energia elettrica da fonti rinnovabili: energia solare, in primis (ad esempio con distributori di energia elettrica a pannellamento fotovoltaico sul tetto o nelle vicinanze, oppure da parchi eolici). Solo a quel punto l’intero ciclo è realmente pulito e non ci si prende in giro facendo finta di rispettare l’ambiente.
B – Le Ibride
Ibrido significa che nella stessa auto convivono un motore elettrico ed uno a combustione interna: in generale è quest’ultimo a spostare la macchina nella maggior parte delle volte in cui è richiesta maggiore potenza, mentre nelle partenze cittadine il modulo elettrico può risultare sufficiente. Ma tale soluzione, che sembra efficiente, in realtà non lo è molto: il peso aumenta, e la complicazione costruttiva anche. Ci sono meno inquinanti in giro sicuramente (perché, a parte il motore elettrico, il motore delle ibride è in genere a benzina), ma è una soluzione “ibrida”, appunto, cioè non risolutiva: il solo motore elettrico non può sostenere l’eterogeneità di situazioni nelle quali si trova a doversi muovere il veicolo, e quindi viene “aiutato”, e ci sono due motori invece che uno, con tutti i problemi anche di manutenzione che ciò comporta. Il meccanico di fiducia probabilmente non potrà metterci le mani (anche per il rischio dovuto al più alto voltaggio).
Questa tipologia di auto è adatta a particolari categorie di utenti, ad esempio chi fa primariamente percorsi cittadini (non è un caso che sia molto diffusa tra i tassisti), mentre non lo è per chi la usa solo in autostrada o percorsi extraurbani, dove funzionerebbe prevalentemente, il motore termico.
Inoltre, anche le ibride hanno il problema – sebbene minore – di un costo più alto di acquisto. Dove le ibride sono veramente diffuse (cioè con percentuali di vendita sopra il 15% del totale) è in alcuni paesi del Nord Europa (ad es. la Norvegia) dove gli incentivi statali sono sostanziosi e rendono il prezzo d’acquisto sostanzialmente identico alle equivalenti a benzina o diesel.
C – A Idrogeno
Sicuramente è una tecnologia molto promettente, ed è il gas più pulito che ci sia. Presenta però pro e contro ancora più problematici delle ibride:
Pro
Non ci sono problemi di autonomia: la Toyota FCV (vedi sotto) può percorrere quasi 700 km, ed anche il rifornimento è sufficientemente rapido (può essere fatto in meno di 5 minuti rispetto alle ore che richiedono le elettriche). In California, paese da sempre all’avanguardia nel settore della ricerca e dell’inquinamento, sono già operativi diversi distributori e altri dovrebbero aprirne nei prossimi due anni.
L’industria giapponese crede molto in questo carburante: lo ha dimostrato con il primo modello di serie al mondo, la Toyota FCV, o con la Honda FCX, ed altre arriveranno. Le vetture ad idrogeno funzionano benone, anche perché sono a tutti gli effetti delle auto elettriche che invece di incerte e poco capaci batterie hanno il serbatoio dell’idrogeno ad alta pressione e lo stack che lo trasforma in corrente elettrica.
Contro
1) La gestione. L’idrogeno deve essere compresso a 7-800 bar e tenuto a temperature bassissime, nell’ordine dei -260 gradi, costringendo così a strutture e materiali complessi e costosissimi per il suo utilizzo sull’automotive.
2) La distribuzione. Attualmente non esiste. Distribuire idrogeno richiede una struttura ad-hoc attualmente esistente solo in poche nazioni come il Giappone, la California, ed in Germania.
(Non solo, in Italia sarebbe comunque impossibile la commercializzazione perché una norma attuale limita la potenza di accumulo nei serbatoi a 350 bar)
3) La sicurezza. L’idrogeno deve essere stivato e portato appresso (le fuel cell, che servono poi ad alimentare il motore elettrico che ne sfrutta l’energia). Ma in caso di incidenti con fortissimi compressioni meccaniche o temperature altissime, non è ancora chiaro cosa potrebbe succedere.
4) La produzione. Di nuovo, se l’energia usata per produrre idrogeno viene creata attraverso combustibili fossili, ci stiamo ri-prendendo in giro da capo. Se l’idrogeno è invece creato dall’energia solare siamo nel giusto e nel buono. Ma non è tutto così semplice.
Insomma, a parte le politiche svolte dagli Stati, e dai volumi in cui queste vetture arriveranno sul mercato (esperti Usa dicono che per viaggiare l’equivalente di quello che si riesce a fare con un gallone potrebbero bastare tre dollari), anche l’idrogeno non sembra una soluzione a breve termine, come l’elettrico. E fra i manager c’è chi non ci crede, soprattutto fra chi ha puntato sull’elettrico, in primis Carlos Ghosn (grande capo di Renault-Nissan) ed il genietto Elon Musk, fondatore della Tesla.
E’ molto probabile che nel futuro, posso azzardare nei prossimi 30-40 anni, le tre tipologie di propulsione conviveranno, quindi avremo ancora motori a combustione interna, Euro6, 7 e così via, ibride utilizzate magari in città o elettriche per i percorsi urbani, e infine idrogeno per grandi progetti automobilistici che ora ci appaiono futuristici ma che fra 10 anni potrebbero non esserlo affatto.
Chi vivrà (a lungo) vedrà!