Scena 2. Terrazza hotel. Esterno. Notte.
Una sequela impressionante, insistita, ossessiva e orrorifica di primi piani, di corpi, di dettagli sudati di un campionario umano vastissimo. Giovani o di mezz’età; ributtanti, trasparenti o affascinanti; decolletés spropositati e irreali, abbronzature violente, sessantenni travestiti da giovanotti, labbra rigonfie, uomini dai visi laccati, eleganti o volgari, stravaganti o mezzi nudi, tutti sudati, invitati e imbucati, ballano il Maracaibo.
In preda a una felicità che mette paura. Una vertigine.
Facce da ambasciatori, da spacciatori, casalinghe, intellettuali, funzionari ministeriali, vallette, nobili decaduti, borgatari, tripudi trasversali di tatuaggi, piercing nei luoghi più impensabili, pizzi francesi e minigonne da mercatino, rossetti osceni, jeans stracciati, donne in lungo e bermuda all’ultimo grido. Sandali, tacchi altissimi e piedi scalzi. Diamanti e bigiotteria. Orge di cocktail superalcolici e flûtes di champagne.
(dalla Sceneggiatura)
Innanzitutto feste: come dice Verdone nell’intervista a “Che tempo che fa” insieme al regista, “uno potrebbe non crederci, ma le feste che Paolo mette in mostra a Roma sono proprio così”. Confermo: le feste in terrazza di certa nobiltà, certa borghesia romana, radical-chic o in generale mondana, al netto di una caricaturalità che caratterizza tutto il film, sono quelle descritte da Sorrentino, che evidentemente conosce l’ambiente (e probabilmente ci è finito dentro suo malgrado). E’ probabile che a lui gli faccia anche un po’ schifo e tenerezza insieme quest’ambiente; ma in una Roma materna, accogliente e albeggiante, da qualsiasi angolazione la si guardi (e le sue angolazioni sono sempre meravigliose). Si, forse si sente un po’ alieno in questa mondanità condizionata (o come dice il protagonista, “deluso” da questa Roma), e se è così lo capisco, è una sensazione che ho avuto anche io, quando mi è capitato. Comunque il suo giudizio è leggero, e viene mitigato dalle stupende immagini, e comunque non vuole affondare il coltello sui mali di Roma. Lo si capisce ad esempio dai scarissimi riferimenti alla politica (schematizzata nel dialogo della radical-chic), così come non ci sono le automobili: il traffico di Roma, così famoso e nefasto è totalmente assente, in una specie di città metafisica, classica (ma per fortuna non alla Woody Allen!).
C’è molto Fellini ─ come ha spiegato egregiamente chi se ne intende ─ e le citazioni sono ovunque: gran peccato per l’uso del digitale, innestato a tal proposito in modo molto evidente e secondo me evitabilissimo, e pure eccessivo. A tratti sembra che voglia dire qualcosa con alcune scene che lì per lì non si capiscono. E si ferma un attimo prima, forse per paura, per non approfondire troppo, oppure si dilunga eccessivamente su scene che avrei tagliato (e a quanto pare il girato è stato tantissimo e molte sono state le scene già tagliate).
Poi c’è il punto di vista, la focale: è sicuramente quella di chi viene a Roma proveniendo da fuori. E infatti il regista è napoletano, il protagonista salernitano, e il risultato è ellittico, e secondo me non coglie a pieno la Roma “profonda” ma gli gira intorno, come le mitiche carrellate del regista. Si limta ad affrescarla, ad osservarla senza voler per forza capire: ipotizza che dietro le righe ci sia quello che dice Toni Servillo: un chiacchiericcio, un bla bla, o una spiritualità monca o poco credibile. Un tema su tutti: la raffigurazione di preti e monache (tantissime), di cardinali e prelati che è quasi macchiettistica, con purtroppo scarsa attinenza alla realtà del mondo religioso che evidentemente Sorrentino conosce poco; è un’osservazione formale senza entrare troppo nel merito (e ce ne sarebbe), e con qualche errori marchiano. Uno su tutti, la Rolls Royce targata SCV su cui si muove un cardinale, (ca va sans dire antipatico e caricaturale), quando anche i sassi a Roma sanno che i preti usano Volkswagen e Ford perché hanno sconti all’acquisto e al massimo Mercedes e Volvo donate dalle rispettive case madri alle alte cariche. Nessuno in Vaticano sano di mente immatricolerebbe mai una Rolls Royce!
Alcuni attori sono in un loro “ruolo ideale”: Isabella Ferrari è perfetta nella donna ultra-40enne narcisista e un po’ superficiale che mette centinaia di sue foto su Facebook, in pose e mise diverse, per vedere le reazioni e i commenti degli altri. La Ferilli è naturale e molto brava (oltre che in splendida forma), ed è praticamente una sorpresa, almeno per me, vederla recitare in modo compiuto e coerente. Altre figure sono anche ben tratteggiate, sebbene non mi sia piaciuto tantissimo Verdone, perché sembra sempre eccessivo, caricaturale, in un film già abbastanza manierista. Toni Servillo, invece, inutile dirlo: bravissimo, specialmente quando racconta. Forse troppo acquoso, spesso immobile in smorfie e prossemiche forse per lui innaturali, ma insomma non si può prentendere la perfezione..
Dopo aver visto il film, uno dice “bella la musica, bella la fotografia, bella la sceneggiatura, belle le inquadrature, belle le carrellate (alla Sorrentino, appunto)” quindi la grande bellezza riportata dal titolo c’è, ma non si capisce bene dove il regista vuole andare a parare, e alla fine l’effetto inconcludente è dietro l’angolo. Così mi sono andato a rivedere il trailer del film e ho capito: lo dice nella voce narrante del protagonista.
“E’ tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. “
Ecco, credo che sia questa la chiave di lettura; quantomeno, quella evidenziata esplicitamente dal regista. Poi, certo, ognuno vedrà una chiave di lettura forse diversa (anche per me lo è), o non ne vedrà nessuna, ma questo appartiene a ogni film ed alle sensazioni e alle emozioni che trasmette.