Alla Finlandia fino a tre mesi fa se chiedevano se volesse entrare nella Nato diceva “assolutamente, non è all’ordine del giorno”. Ricordiamo la proverbiale neutralità del paese scandinavo (tanto che si parlava di ‘finlandizzazione’ per indicare una possibile via d’uscita nei negoziati russo-ucraini a inizio conflitto).
Infatti, l’ingresso nella Nato non era all’ordine del giorno né a Helsinki, né a Stoccolma. Ma l’invasione dell’Ucraina ha fatto cambiare idea, in materia di sicurezza, agli elettori finlandesi e svedesi (lo dicono i sondaggi) e la politica si è adeguata. Del resto, che la paura delle mosse del Cremlino — la cui tragica fondatezza Putin si è premurato di certificare — sia alla base anche della passata adesione al Patto atlantico di vari Paesi europei ex sovietici, non è un mistero. E neanche che la Nato, lungo il confine Est, abbia installato strutture militari difensive, a differenza dell’ex URSS.
Dopo oltre due mesi di guerra e di aggressione russa da parte di Putin, la Finlandia ha deciso ufficialmente di entrare nella Nato,“senza indugio”, quindi non solo rompendo ogni indugio storicamente consolidato, ma anche facendo alzare qualche sopracciglio tra gli alleati (Turchia in testa, che si è dichiarata contraria). Non solo: “l’adesione sarà rapida”, secondo Jens Stoltenberg (il segretario Nato), e nel transitorio il Regno Unito ha fatto sapere che supporterà il paese scandinavo.
La Russia di Putin ha ottenuto un’eterogenesi dei fini non prevista, considerando che già solo quest’adesione (e non “annessione”, come dice sventuratamente la nostra – della Sapienza – docente di filosofia teoretica) allargherà il confine con la Nato di più di un migliaio di chilometri – oltre ad avvicinarlo alla Russia.
Lo stesso farà la Svezia, propensi anche loro a chiedere l’ingresso in Nato per difendersi dall’aggressione dell’ex Unione sovietica, che è poi appunto il motivo per cui tutti i paesi dell’Est europeo lo hanno fatto in questi anni: difendersi. Da un paese che ritiene di avere diritto a espandere militarmente il proprio spazio vitale (ricorda qualcuno?) – o di “riappropriarsene”.
Putin, che continua a rifiutare ostinatamente qualsiasi negoziazione, oltre a riportare economicamente la Russia ai tempi bui, aver rotto tutti i rapporti con l’Occidente e distrutto la reputazione come partner serio, oltre ad aver ridotto metà Ucraina a un campo di battaglia, devastato il Paese con una guerra in stile novecentesco uccidendo migliaia di vite umane – anche tra le fila degli stessi militari russi, senza alcun rimorso o senso di responsabilità (con inquietanti interpretazioni sui motivi), sta dunque anche ulteriormente favorendo l’allargamento dell’Alleanza Atlantica.
I successi militari sulla conquista del Donbass e della Crimea, peraltro da verificare nel tempo e di fronte alla comunità internazionale, ottenuti a un costo altissimo, rischiano di trasformarsi in una vittoria azzoppata, di fronte alla débâcle strategica ottenuta.
Oltre alle sole conseguenze geopolitiche, non si può non considerare il tributo in termini di vite umane, di orrori perpetrati, di famiglie distrutte, di economie devastate (non solo a livello locale), problemi agli approvvigionamenti alimentari ed energetici, di crisi umanitarie ma anche alimentari, a far comprendere che le pesanti parole di Biden, oltre che a essere rivolte a specifici interlocutori (di volta in volta) non sono proprio del tutto casuali e frutto di imperizia comunicative. Anzi forse lo conosce meglio di noi: quantomeno l’aveva dimostrato prevedendo le mosse del Cremlino ben prima dell’Europa, ad esempio.
Quello che potrebbe essere interessante chiedersi è se è vero che questa riconfigurazione così drammatica abbia davvero ri-unito l’Europa – pensiamo alla costituzione di una forza di difesa comune europea, progetto che ammuffiva sulla carta – riducendo gran parte delle storiche divisioni interne, quantomeno nei temi cari alla narrativa e alla disinformazione russa – così accuratamente perpetrata in questi anni (specialmente in ambito digitale) per aggredire le democrazie della UE.
In parte sì. Anche su questo, a parte ciò che sostengono alcuni docenti filo-putiniani della Luiss, il neo-zar sta ottenendo il contrario di quello che “desiderava” (almeno ragionando in termini puramente logici, cosa su cui molti nutrono dubbi, ma ci torneremo). Oltre all’allargamento della Nato, ha anche prodotto una reazione nelle politiche energetiche europee, che nel medio periodo cambieranno progressivamente segno: dalla dipendenza dei combustibili fossili si aumenteranno le fonti energetiche green, a partire dalle fonti rinnovabili, con un’accelerazione senza pari (subito battezzata Repower EU, ché all’Europa piace tanti dare i nomignoli ai progetti – e anche perché fa parte del Recovery plan Next generation EU). Tuttavia l’Europa, dopo la fiammata iniziale, è tutt’altro che unita, as usual.
Una delle linee più ragionevoli e concrete è a mio avviso è proprio quella sostenuta dal nostro presidente del consiglio, che in visita ufficiale negli USA ha detto tra l’altro che va bene sostenere militarmente l’Ucraina ma anche non perdere di vista l’obiettivo primario, che dev’essere quello di un trattato di pace duraturo e non di facciata (le famigerate tregue che durano… due giorni). Ribadendo anche una cosa importante: che va cercata un’intesa non da “impero”, non allo scopo di creare un’umiliazione in stile Versailles, e non tanto per il solo Putin o i suoi fedelissimi ma per una popolazione e un’opinione pubblica russa che non capirebbe. Sarebbe un’altra eterogenesi dei fini e un ricorso storico pericoloso, che intensificherebbe ancora di più una narrazione anti-occidentale sulla quale ha basato il proprio consenso il neo zar. Va cercata invece un’intesa di pace pragmatica, efficace, e soprattutto basata su una visione di lungo respiro sostanzialmente euro-centrica e atlantista, molto più che filo-americana. Questa è una visione (ampia e annunciata da Draghi al Parlamento il giorno del suo insediamento) che solo i grandi statisti sanno avere.
Il problema, e Draghi lo sa benissimo, è che quest’Europa va tenuta assieme, ché gli interessi sono più che differenti, a volte sono proprio divisivi e centrifughi. All’Ungheria, ad esempio, che si oppone a qualsiasi sanzione, si contrappone la Francia che si può disinteressare dell’approvvigionamento energetico della Russia, forte delle decine di centrali nucleari sul proprio suolo (non che io ne sia un sostenitore, sia chiaro). Ma non bastasse la rotta di Orbàn tutt’a destra, c’è la Bulgaria che è un altro anello debole della catena, (più della Germania legata a doppio filo al regime di Putin da decenni – Schroeder anyone?). Così anche alcuni altri paesi del centro-est Europa, dipendenti dal gas russo.
Poi ci siamo noi, che non stiamo messi benissimo.
Un chiosa finali e qualche spunto per approfondire. Al netto degli storici di orientamento di destra (ad es. un Cardini che ci fa la lezioncina su Putin al quale avrebbero teso una trappola…), c’è quest’idea della Russia che – siccome gli USA nel passato si sono macchiati di crimini, di atrocità eccetera, ma non ne hanno pagato il fio – allora adesso “è il loro turno, tocca a loro” commettere atrocità senza problemi. E queste sono idee terrificanti. Senza nulla togliere alle responsabilità esistenti, naturalmente.
Per capire, poi, la narrazione tremenda e illogica del Cremlino di ieri e di oggi (sono decenni di teorizzazione bislacca da tenere in conto) si può leggere quest’articolo dell’ottimo Federico Fubini, che riepiloga il filo storico dei discorsi di Putin, e questa intervista. Sergey Karaganov è stato consigliere presidenziale per la politica estera sia con Yeltsin che con Putin. Oggi guida il Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca e le sue proposte sugli interventi per le minoranze russe delle repubbliche ex sovietiche vanno sotto il nome di “dottrina Putin”. E qui qualche indizio su quali tipi di “consigli” si stiano adottando lo trovate.